Con The Dream Circle Steve Roach perfeziona la sua profonda analisi della cultura aborigena australiana donandoci un altro tassello musicale pari o addirittuta superiore, nella sua essenzialità, a Dreamtime Return.
Ancora una volta la parola sogno ricorre nel titolo; il sogno, nella concezione aborigena, è il punto di contatto con gli antenati mitici, luogo in cui sono annullate le differenze tra vegetale ed animale e dove il tempo – occidentale – è insignificante. Questi esseri, giganteschi e immani, hanno fondato il presente, le strutture sociali, i costumi, gli usi cultuali, i rapporti da tenere con la Natura. Il sogno in cui sono avvolti è un altrove indefinito, lontano, inclassificabile secondo il nostro computo, ma che ha lasciato tracce visibili sino a noi. Difficile ricreare la semplice maestosità di questa concezione per l'uomo occidentale; la nostra religiosità è inquinata da troppe mediazioni gerarchiche, dalla dannazione matematica del tempo strutturato in decadi, secoli, ricorrenze. Solo nel sincretismo d'alcune genti neoconvertite (anglosassoni e africani) la religiosità occidentale si avvicinò alla potente ingenuità aborigena.
La vera contrapposizione profonda infatti è questa: la furia classificatoria dell'Occidente che definisce e matematizza il mondo e il tempo (relegandoli sempre più alla mera funzionalità economica); la fluidità della mentalità primitiva, regno delle metamorfosi, della contraddizione bifronte, della sospensione. È inevitabile, quindi, che la nuova musica, ambientale, sperimentale o post-rock, acceda a queste ultime riserve di humus poetico: Voice Of Eye, Bardo Pond, Arcanta seguono tale strada; i Trollman av Ildtoppberg sono ispirati dalla letteratura fantastica di genere; i Lightwave scovano figure pre-scientifiche come Tycho Brahe e Athanasius Kircher; sto citando solo i pochi autori già trattati, una minima parte del totale. Questa fuga dalla modernità non significa fuga dalla scienza, anzi: la scienza, come amore per la verità, è essenzialmente poetica[1]; il nemico è la tecnica come ancella del potere a una dimensione.
L’arte - la musica - per garantirsi la sopravvivenza deve, quindi, necessariamente ritirarsi dall'Occidente e da un'estetica configurata per garantire distrazioni all'homo oeconomicus (canzonette, innocue stupidaggini lounge, musica da supermercato, continue rimasticature del passato più o meno recente, scandali pour epater les cretins), completamente deprivati di un senso profondo o alternativo.
L'unica traccia di The Dream Circle (73'57'') è un fluido impasto di pulsazioni profonde, risonanze misteriose, echi di voci sconosciute, e la traslitterazione musicale di quel tempo mitico a cui si accennava; un lavacro ristoratore in cui immergersi immediatamente senza l'urgenza di capire.
[1] L’astronomo Galileo scrisse che la matematica è l’alfabeto in cui Dio ha scritto l’universo; l’antiscientista Leopardi scrisse una storia dell’astronomia.