Mi piace tanto parlare di tempo, lo faccio spesso. Il tempo è dentro la musica, ma anche dentro le parole degli artisti. E in questo tempo storto, dove ogni cosa deve avere una forma preordinata a priori, il tempo a fatica deve starci dentro; lavoriamo tutti quanti ogni giorno per questo e non sono ammessi ritardi, ma neanche perdite e dissipazioni lungo i tubi di propagazione.
Poi però ci sono le anime contadine (nella preziosa accezione che ci insegnava Faber) che al tempo cercano di voltare le spalle. Le ritrovi in giro per le vie della tua città che sembrano provenire da mondi antichi, alieni. Ormai tutto è alieno se non somiglia alla pubblicità. Alieno come la loro musica, che alla forma conosciuta neanche prestano attenzione quando parla e detta regole. Sante regole, il futuro ha soltanto regole?
Ho capito che Zuccarino Rehab non è un artista in cerca di forma e che la sua manifestazione d’esistenza è fatta di parole e di quel suono (suonato) che arriva dal vissuto, dall’incontro e dalla condivisione. “E poi lascialo andare”, mi sembra di sentirglielo dire a gran voce, lasciamolo procedere come vuole, secondo scale turche o arzigogoli balcanici; parliamo in dialetto o semplicemente ricerchiamo la psichedelia di un tempo. Che sia conforme alle regole o meno poco importa, se qualcosa combacia è per puro caso e va bene così.
Lui gli uomini li guarda e ne narra la storia, quella stessa storia che si raccoglie ovunque e che quando accade semina e lascia prove del suo passaggio anche a distanza di secoli. Zuccarino Rehab non diresti mai che è uomo australiano di origine, lui che al dialetto abruzzese ha sempre rivolto l’attenzione che merita, lontano dalle comode soluzioni di folklore popolare che servono per l’ironia della pubblica piazza.
Suite Numero due - Catena è sinonimo di storia antica: torniamo al 1500, invasione dei turchi sul litorale Adriatico. La sua città contadina, di mare che dopo poco inizia la montagna, il ratto della bellissima Domenica Catena e il suo suono, moderno ma non futuristico, deciso da buona batterista qual è, ma anche folle, scellerato, iconico e anacronistico; un suono semplice, come a volte è semplice la vita.
E che bello ritrovare gli amici, Fabio Duronio alle chitarre e Luca Marinacci al basso, che bello questo disco che è così come lo sentiresti dal vivo, senza maschere, senza tempo, senza quella faccia assurda di chi sta in posa nelle fotografie dei social. Zuccarino Rehab, se vuoi conoscerlo, puoi anche solo ascoltarlo sul disco: musica che è propaggine dell’uomo di carne, di ossa e di visioni decisamente contadine.
Mai come prima possiamo parlare di tempo. Risulta sempre una domanda affascinante questa, il tempo in questo disco è uno dei protagonisti. Tu che rapporto hai con il tempo? Con il passato e con il futuro, nel presente.
Il tempo è tiranno diceva un detto, ed io lo so bene. Non mi sono mai rassegnato ad avere solo 24 ore al giorno. Fosse stato per me, non avrei proprio creato il tempo, avrei creato dei periodi dove consumarsi o redimersi senza avere problemi di orario. Ma in questo lavoro il tempo è stato propiziatorio. Le storie antiche sono affiorate dalle memorie archiviate in passato e fatte rivivere nel presente, nei giorni nostri ancora pieni di presagi funesti e dal futuro incerto.
Mille sono i modi che accadono per farci inciampare in una storia piuttosto che in un’altra. Non mi stupisce questo. Mi incuriosisce invece parlare di invasione come contaminazione. Quante nuove cose, nuove forme, nuove tracce possiamo raccogliere ancora oggi da una invasione turca del 1500?
Io penso tantissimo. Per millenni l'uomo ha viaggiato alla ricerca di terre da occupare, lasciandosi dietro qualcosa ogni volta. Ad un primo ascolto, il nostro dialetto ha delle parole che ricordano molto l'arabo, o il viso di qualche vecchio dai lineamenti turchi su nel quartiere antico.
E nel suono di Zuccarino Rehab, tutto questo secondo te come prende forma e sostanza?
Devo dire che sono sempre stato attratto più dalla sostanza che dalla forma. La mia formazione musicale è avvenuta sul campo. Ho conosciuto tanti musicisti dagli stili diversi e penso che il bagaglio che mi porto dietro oggi, sia frutto di queste esperienze. Poi nel tempo, ho imparato a dare importanza anche alla forma e riconoscere la bellezza nelle cose che mi circondano.
Ricerca. Io maturato l’idea che la ricerca e la novità non dev’essere per forza di cose un obiettivo importante, doveroso. La novità in realtà ha fatto storia in un numero inferiore di volte rispetto alla personalità. Ecco: io trovo che questo disco sia grandemente ricco di personalità e lo dimostri attraverso soluzioni classiche del suono e degli arrangiamenti. Tu cosa ne pensi?
Mi fanno molto piacere queste parole! Come dicevo nella riposta precedente, la maturità porta tanta riflessione, e l'istintività che ci caratterizza in gioventù pian piano lascia il posto ad un fiume calmo che ha superato le rapide. Ritengo che questo sia il mio piccolo capolavoro, grazie anche al supporto dei compagni di sempre (Fabio Duronio alle chitarre e Luca Marinacci al basso) e al meticoloso lavoro dei ragazzi dello studio di registrazione (Giampiero Ulacco e Giacomo Pasquali di Hologram Studios), siamo riusciti a fare quello che sembrava impossibile a causa degli eventi che abbiamo vissuto e che ancora viviamo.
“Mama Don’t Cry”. Diciamo che prima di tutto questo titolo mi richiama la “No Woman No cry” di Marley. Ovviamente non c’entra niente per il resto, o forse si. C’è sempre una donna a cui dedichi una tua personalissima preghiera laica di vita. Dunque esiste forse un legame?
C'è sempre stato un legame fortissimo con le donne della mia famiglia. In casa nostra anche gli animali erano solo femmine! Da loro ho imparato l'amore per gli altri, la bellezza delle cose e la lingua in cui canto. Ed ora che ho superato la soglia dei 50 anni, la mia compagna mi ha fatto dono di un figlio, o meglio di una figlia.
“Look the Children”. Forse la vera suite del disco o sbaglio? E nella sua coda strumentale ci leggo la Turchia con le sue scale ma anche le aperture corali molto americane.
Si, il mio brano preferito. Ogni volta che lo riascolto mi emoziona. Nello strumentale ho voluto rappresentare il gioco dei bimbi, la loro naturalezza e lo sguardo libero verso il mondo, che probabilmente sarà crudele con essi. Nel finale ho voluto ricreare l'assalto dei predoni, dei suoni stilizzati con le campane a morto registrate nel centro storico del paese in cui vivo ora.
Che poi questo disco è pieno di coralità. Il coro mi riporta inevitabilmente alle atmosfere di un paese, di tradizioni, di canti liturgici in qualche modo. Tu che ruolo hai voluto affidare ai cori di questo disco?
Il coro è un’arma che utilizziamo spesso. Abbiamo raggiunto una grande intesa vocale io e Fabio. Spesso dal vivo improvvisiamo le stesse note senza guardarci o metterci d'accordo prima.
E parlando del video di Pietro Falcone, parlando del video di "Libera Liberata”, avete codificato la libertà in chiave moderna. La fuga dalle costrizioni, la ricerca di una propria personalità. Veniamo all’oggi, ancor di più come avete fatto nel video. Di cosa senti di essere schiavo, chi pensi possa essere Domenica Catena?
Siamo tutti schiavi di un sistema che ci sta portando alla distruzione. Il sovraffollamento e la mancanza di risorse saranno i veri problemi da affrontare. Intanto ci godiamo questo bellissimo videoclip del talentuoso Pietro, giovane regista dalle tinte crepuscolari e ambientazioni eteree. Ha fatto rivivere il personaggio di Catena nella sintesi perfetta della musica e il testo. Quando penso a Catena, m'immagino una Madre Teresa di Calcutta francavillese.