La parziale metamorfosi stilistica ha aperto orizzonti interessanti agli Yard Act e, probabilmente, è anche stata responsabile di un aumento esponenziale dei consensi che, relativamente al nostro paese, si è concretizzato nei due sold out delle date di Bologna e Milano.
Niente di particolarmente inatteso, in questo mutamento di coordinate: alla fin fine la band di Leeds non ha fatto altro che dare maggior spazio ad elementi che già caratterizzavano la sua musica: le linee vocali al confine con l’Hip Hop e il groove di scuola Urban dato da una sezione ritmica decisamente fantasiosa. L’aggiunta delle tastiere e l’incremento degli elementi “Dance” all’interno della loro proposta, hanno reso Where’s My Utopia?, il sophomore uscito a marzo, più variegato ed eterogeneo del precedente The Overload, un ottimo esordio ma che, a continuare su quelle coordinate, li avrebbe forse eccessivamente appiattiti sulla nuova Wave di Post Punk imperante negli ultimi anni.
È un Santeria pieno per metà (la solita abitudine tutta milanese di presentarsi agli eventi il più tardi possibile) quello che accoglie Murkage Dave, che sta aprendo tutte le date del tour europeo. L’artista di Londra, stando a quanto ha lui stesso raccontato dal palco, si sarebbe guadagnato l’onore dopo aver contattato la band su Instagram ed avergli fatto ascoltare qualche pezzo.
Attivo dal 2019, il suo ultimo lavoro s’intitola The City Needs a Hero ed è uscito in due parti, l’ultima delle quali arrivata l’anno scorso. La sua è una proposta decisamente in linea con il Neo Soul intimista degli ultimi anni, espresso da artisti come Sampha o Bartees Strange. Arrangiamenti piuttosto lineari, con la componente elettronica mai troppo preponderante ed un uso piuttosto disinvolto della chitarra. Le canzoni non sono niente male, anche se non hanno quel guizzo che permetta loro di distinguersi dai riferimenti principali. A peggiorare il tutto, c’è il fatto che Dave si presenta on stage con uno stereo a cassetta da cui fuoriescono le basi, unico accompagnamento nel set di stasera. Una performance un po’ statica, dunque, anche se il nostro è dotato di buona presenza scenica e la voce è senza dubbio bella. Con qualche musicista sul palco lo avremmo apprezzato di più, ma immagino che sia una scelta dovuta a motivi economici.
Gli headliner Yard Act si presentano vestiti di arancione, alle spalle hanno un tendone con il logo del gruppo dello stesso colore, che durante il concerto si animerà di semplici effetti luminosi; sulla sinistra campeggia una scritta fluorescente con il titolo del disco.
La (relativa) maggiore complessità della nuova musica ha portato ad un allargamento della line up: accanto a James Smith (voce), Sam Shipstone (chitarra), Ryan Needham (basso) e a Jay Russell (batteria) c’è Christopher Duffin, che suona le tastiere e il sassofono, garantendo una maggiore profondità al suono (anche se per onor di cronaca dobbiamo segnalare che le tastiere, almeno dalla mia postazione, non si sono praticamente mai sentite). Da segnalare anche la presenza di due coriste, Lauren Fitzpatrick e Daisy Smith, che oltre ad occuparsi delle backing vocals (che nei nuovi brani hanno un ruolo preponderante) si mettono spesso in primo piano ad interagire col frontman, un fattore che dona un maggiore dinamismo allo show e che risulta particolarmente divertente da vedere.
In generale la band sembra decisamente in palla ed anche parecchio cresciuta, rispetto a quando la vidi per la prima volta, al TOdays del 2022. Dal vivo i nuovi brani risultano molto più elettrici, con un Sam Shipstone che se in studio era apparso un po’ sacrificato, qui è costantemente sugli scudi (e i volumi del suo strumento sono forse un po’ troppo alti) ed una prova di Jay Russell veramente pazzesca dietro le pelli, coi brani che assumono una connotazione ritmica di gran lunga più variegata rispetto alla versione originale.
James Smith è sempre il solito mattatore, il suo flow è incisivo e le sue qualità di frontman non si discutono. Ne risulta un concerto infuocato, serrato e senza pause, con il pubblico profondamente coinvolto, che balla e salta facendo salire la già incandescente temperatura all’interno del locale (è stata una giornata caldissima e il Santeria è un forno, probabilmente la stagione dei concerti indoor è ormai finita).
La setlist pesca indifferentemente da entrambi i dischi (con Where’s My Utopia? leggermente preponderante) e privilegia gli episodi più serrati e ballabili, con l’eccezione di “Down by the Stream” e dell’arida meditazione esistenziale di “100% Endurance” che godono tuttavia di versioni più ruvide e dinamiche. È tutto un susseguirsi di brani killer, da “Dead Horse” a “Pour Another”, da “When the Laughter Stops” a “We Make Hits”, con un sound che è ormai una sintesi perfetta tra il Post Punk abrasivo di scuola Fall e la Dance pulsante degli LCD Soundsystem. La maggior parte dei pezzi viene poi allungata parecchio nei finali, che enfatizzano il momento ed offrono spazi alle pennate rumorose di Shipstone e alle incursioni di stampo Free Jazz del sax di Duffin.
A metà c’è pure un siparietto, in cui il gruppo porta sul palco una specie di ruota della fortuna coi titoli delle canzoni, ed invita una fan per girarla e scegliere un brano: esce “Dark Days”, che per una curiosa coincidenza era venuta fuori anche la sera precedente a Bologna.
Finale in crescendo, con botte da paura come “Dream Job”, “Payday” e “The Overload”, prima del congedo in chiave Synth Pop di “A Vineyard for the North”, che in tale contesto appare quasi intimista.
Nei bis, a chiudere, c’è poi una lunga “Trench Coat Museum”, il singolo che aveva funto da ideale collegamento tra il primo ed il secondo disco, anticipandone le novità stilistiche principali. La versione live è un po’ diversa, con un lungo break centrale in cui Christopher Duffin si diverte con un rumoroso dj set e gli altri fanno un po’ di casino ritmico, con James Smith che presenta la band, Lauren e Daisy scatenate e persino Murkage Dave che fa capolino e canta un po’ di cori.
Una prova maiuscola, da parte di una band cresciuta e già perfettamente in grado di gestire i propri mezzi. A giudicare dall’hype che stanno generando e dalla ricetta che stanno proponendo, non mi stupirei se ce li ritrovassimo in tempi brevi in venue ben più capienti del Santeria.