In un panorama musicale come quello italiano in cui il rock ha un ruolo marginale, per qualità e quantità della proposta, scoprire un gruppo come i Wyatt Earp è un po' come trovare sotto l’albero di Natale un regalo agognato da tempo.
In attività dal 2013, il quintetto veronese, dopo parecchia gavetta e un importante cambio di line up (l’arrivo del cantante Leonardo Baltieri nel 2016), ha finalmente rilasciato la sua opera prima, un disco omonimo composto “solo” di sei canzoni (per circa quarantacinque minuti di durata), ma il cui peso specifico supera di gran lunga ogni più rosea aspettativa.
Insomma, non stiamo parlando del titubante Ep di esordio di una band alle prime armi, ma di un disco fatto e finito, che mostra un’inaspettata maturità di songwriting e la potenza e ricchezza di suono di una band che sembra in attività da decenni.
I Wyatt Earp (il nome è preso in prestito dal famoso sceriffo del duello all’O.K. Corral) hanno le idee molto chiare su quelle che sono le loro fonti d’ispirazione: hard rock anni ’70 di matrice britannica, Deep Purple e Rainbow come primari riferimenti stilistici, ma anche tante idee grazie alle quali evitano l’effetto sbiadito da mera tribute band. L’impatto solido e roccioso del genere, infatti, è arricchito, almeno in parte, da inaspettati riferimenti prog-rock, che hanno il merito di ampliare la visione e di rendere l’architettura dei brani più varia, complessa e imprevedibile.
In tal senso, le due canzoni più lunghe del lotto (With Insight, coi suoi saliscendi emotivi, e la chilometrica Gran Torino, in cui prevalgono umori crepuscolari e atmosfere cupe e inquietanti) mostrano un’inusitata ricchezza di linguaggio e una gestione ben calibrata della lunga distanza, in cui si evitano abilmente orpelli, ridondanze o riempitivi.
Tutto, insomma, suona estremamente efficace, come efficaci sono le altre quattro canzoni del lotto, che mostrano il lato più duro della band e hanno un tiro considerevole, a partire dall’arrembante Live On, in cui i Wyatt Earp non solo mostrano i muscoli ma sfoggiano anche una notevole caratura tecnica.
Pur proponendo un suono derivativo, i Wyatt Earp hanno il merito di evitare frustranti copia-incolla, stucchevoli sudditanze filologiche o virtuosismi fini a se stessi. Ci mettono semmai cuore, grinta e, quel che più conta, una consistente dose di intelligenza che rende questo esordio di gran lunga più appetibile di tanti dischi simili ascoltati quest’anno. Una manna dal cielo per gli amanti del classic rock e della buona musica.