Il primo album dei Black Star Riders dopo tre anni di silenzio (l’ultima pubblicazione, Another State Of Grace, risale al 2019) arriva dopo una vera e propria rivoluzione, che ha cambiato completamente il volto della band. Da un lato, il passaggio alla Earache Records, che ha rotto il sodalizio con la Nuclear Blast dopo dieci anni di collaborazione, dall’altro, svolta ancor più decisiva, l’abbandono da parte di Scott Gorham, che ha deciso di dedicarsi anima e corpo, solo ai Thin Lizzy. Oggi, l’unico membro originario dei BSR è Ricky Warwick, padre e padrone indiscusso di un marchio che continua a macinare chilometri di hard rock sanguigno attraverso un percorso esattamente a metà strada fra i citati Lizzy e gli Almighty, messi in stand by, ormai, da parecchio tempo.
La partenza di Gorham poteva essere una botta esiziale per l’esistenza della band, ma Warwick, da tenace irlandese qual è, è riuscito a tenere in piedi la baracca, e a mantenere un buon livello di ispirazione.
Apre la title track con un graffiante riff alla Stones, brano tirato e grintoso, segnato dalla voce alla Phil Lynott di Warwick e da un ottimo solo di Christian Martucci, un altro che ha mollato il gruppo di recente, venendo sostituito da Sam Wood. "Hustle" è il primo brano figlio del cambiamento, imbocca una direzione diversa, decisamente più bluesy, e cerca un approccio più melodico, come è evidente dal ritornello molto catchy. Più familiare è "Better Than Saturday Night", un brano che rievoca, in modo un po’ prevedibile i Thin Lizzy riletti con un tocco molto radiofonico, mentre nella tiratissima "Pay Dirty" circola sangue irlandese che rimanda agli Almighty, e "Riding Out the Storm" è una virile ballata elettrica in mid tempo, che conquista con un ritornello facile facile, di quelli da mandare immediatamente a memoria.
Non tutto è centrato, e brani come "Catch Yourself On" o la cover di "Crazy Horses", presa dal repertorio degli Osmonds, mostrano muscoli e grinta, ma non lasciano il segno.
Meglio "Burning Rome", in cui le chitarre evocano i Big Country (quelli americanizzati), così come nella bella e appassionata "Green and Troubled Land", su cui aleggia il fantasma di Stuart Adamson, e soprattutto, molto meglio "Don't Let the World Get in the Way", dritta, diretta e ficcante come sanno essere i migliori brani dei Black Star Riders. Chiude "This Life Will Be the Death of Me", giro di basso muscoloso, atmosfera bollente e grande lavoro di chitarra di Martucci, che con un grande assolo saluta tutti e se ne va.
A dispetto di una partenza di peso, come quella di Scott Gorham, i Black Star Riders restano una solida realtà in ambito rock, e grazie a Warwick sono riusciti nell’intento di pubblicare l’ennesimo buon album, che ha mantenuto il caratteristico suono della band, pur con qualche scarto, peraltro riuscito, dalla narrazione principale. Ovviamente, Wrong Side Of Paradise non fa dell’originalità la sua arma migliore, ma in fin dei conti, anche se tutto è dannatamente prevedibile, questo rock, senza fronzoli e senza pretese, resta un ascolto che diverte dalla prima all’ultima traccia.