Cerca

logo
SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
04/12/2017
Quanto è bello ciò che ci piace?
Wow! La colonna sonora del Breakfast Club!
Passa il tempo e mi rendo conto di apprezzare alla follia artisti che in realtà non ascolto; e di non provare sentimenti o considerazione particolari per altri che sono sempre nello stereo.

Wow, la colonna sonora del Breakfast Club! Non vedo l’ora di essere abbastanza vecchio per apprezzare questa roba!

(Futurama - Il quadrifoglio)

 

Captain Beefheart. Partiamo da lui.

Mi piace; alcune cose di più (Mirror Man, Safe as Milk), altre di meno (Strictly Personal, Shiny Beast) ma ormai sono ben convinto che la sua musica mi piaccia. Non è una posa snob né radical chic. Non potrei dare lo stesso giudizio, per esempio, a tanta parte della scena di Canterbury, al Jazz Rock dei Weather Report o a mostruosità come Metal Machine Music. Né a tante altre nicchie super trendy ed alternative.

Captain Beefheart è uno degli artisti che mi piace, sono sincero.

E qui cominciano i dubbi. Se faccio rapidamente mente locale mi rendo conto che brani come “Dachau Blues” o “Flash Gordon's Ape” li ho in realtà ascoltati raramente rispetto a canzoni assai differenti, magari anche di altri artisti, come “No Fun”, “Gris-Gris Gumbo Ya Ya” o la stessa “Electricity”. Tutto quanto Trout Mask Replica l'avrò sentito per intero un terzo delle volte che ho ascoltato altri album come Granicus, Paranoid o Elephant.

Ma non ne faccio una questione riguardante solo il Van Vliet.

Posso fare lo stesso discorso per i Fushitsusha di Keiji Haino. Un primo Live annichilente, mostruoso. Comprai il CD su E-bay a Hong Kong… Un album da usare con cautela. Stessa cosa con Caspar Brötzmann e Chrome. Grandi album, scarsi ascolti.

Se penso poi a quali dischi abbia consumato di più...i risultati sono quantomeno "imbarazzanti".

Il primo che mi viene in mente è Heartbreak Station dei Cinderella. E nemmeno posso dire che è un ricordo di gioventù, avendolo acquistato 5 o 6 anni fa al massimo. Let There Be Rock è un altro must, assieme ad Happy Trails. Dall'altra parte stanno numerosi LP, tante canzoni che sono sinceramente convinto siano capolavori, che sono sinceramente convinto di amare e di trarne piacere nell'ascolto... ma che raramente finiscono sul piatto.

Allora... è bello ciò che piace o piace ciò che più si ascolta?

Ovvero: quanto vale il giudizio che diamo di un’opera e quanto vale l’uso (l’ascolto, nel nostro caso) che ne facciamo? Le due cose non sempre vanno di pari passo. C’è una gerarchia? Forse se parlassimo d’abbigliamento sarebbe più facile: scarpe bellissime, eleganti ma tremendamente scomode, le adoro ma non le metto mai… Le donne sono certo, capiranno bene!

Ma in arte, o per lo meno in “musica leggera”, l’utilità è una categoria esistente, utile o perfino discriminante?

Lo confesso: le occasioni in cui ho ascoltato tutta quanta “Sister Ray” le conto sulle dita di due mani. Ok, di una. Dei 20 minuti live di “Whipping Post” sono arrivato alla fine al primo ascolto, poi una volta in treno per Firenze e ancora forse in un paio di occasioni. Facile direte: sono pezzi eterni, mica è facile gestirli! Non è del tutto vero. “Halleluhwah”, 19 minuti, non smetterei mai di sentirla. Ma non basta.

Ritengo i Ramones un gruppo di reale rottura, nella musica, nel look, nell'atteggiamento. Mi stanno pure simpatici e molti dei loro pezzi letteralmente mi elettrizzano. Bè, poche volte sono riuscito ad ascoltare per intero, senza pause, Leave Home o Rocket to Russia. Con Highway To Hell o Fire Of Love nessun problema. Stesse difficoltà coi Nirvana, con i Pearl Jam. Con Henry Rollins sto ampiamente rimediando.

Quindi? Dove sta l'errore?

Passa il tempo e mi rendo conto di apprezzare alla follia artisti che in realtà non ascolto; e di non provare sentimenti o considerazione particolari per altri che sono sempre nello stereo.

A volte è pigrizia, spesso indolenza e mancanza di curiosità; ma non solo.

È una falsa convinzione che certa musica mi piaccia? Forse piace alla mia testa e non al mio corpo. Ascoltiamo solo con le orecchie, o anche con i piedi? Con la pancia, magari.

Poi l'illuminazione: la birra.

Una bella birra bionda alla spina, chiara, fredda. Perfetta. Chi tiene il conto di quante birre così si bevono in una vita? Centinaia, anzi, spero migliaia! E dire che sono sempre uguali; tolgono la sete, alleviano un poco i problemi.

Ho certo bevuto molte più birre di quanto non abbia bevuto calici di Morellino di Scansano o Sirah, che pure adoro.

Perché? Perché rispondono a bisogni diversi.

Risolvono differenti esigenze della psiche, della fantasia, del palato e del corpo. Agiscono su differenti recettori del piacere, con intensità diverse, tempi diversi.

Sarà mica così anche per la musica?

Una canzone può rispondere ad un immediato bisogno di ritmo, di evasione, di sesso o di rabbia (“Back In Black”, “Simpaty For The Devil”, “American Woman” in ordine strettamente casuale) un'altra può risolvere esigenze di introversione, autoanalisi, solitudine (“River Man”, “Lorca”, “Void”…).

È bello ciò che piace o ciò che risolve un bisogno?

Io so che possiamo acquistare, collezionare, ascoltare centinaia, migliaia di dischi e canzoni; non so quanti di essi possiamo veramente dire di amare. Quanti di essi risolvano un “bisogno”. Credo un numero limitato; i sentimenti intensi sono selettivi.

Ricordo quello che diceva un vecchio Guru Psichedelico che smerciava vinili di seconda mano a qualche fiera, anni fa:

“Puoi ascoltare tutto quello vuoi, dischi rari, introvabili, capolavori nascosti; eroi dei critici ed eroi del popolo. Ma alla fine non saranno mai più di dieci quelli che potrai dire di amare davvero, incondizionatamente; da ascoltare in ogni momento, sia esso triste o felice. Alla fine si torna sempre lì. Sono sempre quei dieci dischi.”

È un pensiero un po’generico, che non condivido del tutto, pur avendo la convinzione che ci sia qualcosa di vero.