Di film su contagi diffusi su territori vastissimi ne abbiamo visti tanti, compresi quelli narrati in serie televisive come The Walking Dead o nello sceneggiato a puntate tratto da L'ombra dello scorpione di King (all'epoca le serie tv di stampo moderno ancora non erano state concepite); in molti di questi scenari l'origine del virus è sconosciuta o quantomeno nebulosa, altra caratteristica comune di queste pellicole, se ancora ha un senso chiamarle così visto lo strapotere del digitale, è l'impatto che il virus ha sulle strade delle città e sul paesaggio, irrimediabilmente mutato dal virus e dai comportamenti umani. In 28 giorni dopo di Danny Boyle ad esempio, vediamo un mondo svuotato, strade completamente deserte e popolazione decimata, in E venne il giorno di Shyamalan è direttamente il paesaggio, la natura, a portare il contagio, in questo World War Z di Foster invece ci viene mostrato come sia il panico delle persone a far sì che il contagio si diffonda in maniera più rapida del dovuto grazie al loro riversarsi nelle strade in maniera caotica (e qui torna il motto ormai tristemente noto "statevene a casa vostra") .
Gerry Lane (Brad Pitt) è un buon padre di famiglia, innamorato della moglie (Mireille Enos), premuroso con i suoi due bambini. Durante un'uscita in auto la famiglia Lane si ritrova imbottigliata nel traffico, alla radio si captano frammenti di notizie di strani comportamenti che si diffondono tra la popolazione, nelle strade inizia a scatenarsi più d'una scena di panico, poi un'esplosione in lontananza, l'inconsapevolezza di cosa stia succedendo e la preoccupazione. Infine i mutati dal virus, un'epidemia che si diffonde rapidamente e che rende gli uomini e le donne altamente aggressivi, privi di raziocinio, degli zombi violenti ma a differenza dei loro antenati più celebri, quelli di Romero, questi zombi sono velocissimi e molto forti, arrestabili solo tramite un danno cerebrale di una certa entità. Per sfuggire a una situazione divenuta pericolosissima Gerry chiederà aiuto al suo amico Thierry (Fana Mokoena), sottosegretario alle Nazioni Unite, ente per cui lo stesso Gerry lavorava come investigatore sul campo. Thierry riuscirà a far portare in salvo Gerry e la sua famiglia, in cambio chiederà all'amico di tornare sul campo per investigare sull'origine dell'epidemia che pare possa trovarsi in Corea del Sud, da lì partirà una ricerca in giro per il mondo che diventerà una lotta per la sopravvivenza continua alla ricerca di una speranza che sembra ormai davvero flebile.
Almeno la prima mezz'ora del film è da cardiopalma, tensione costante, ritmi serratissimi, percezione di pericolo incombente sempre presente, la fuga della famiglia Lane per trovare un luogo sicuro è girata da Foster con grande maestria, inquadrature ravvicinate a dare un senso immersivo, scorci veloci su una minaccia inizialmente "sfocata". Poi si rallenta e si inizia a costruire la storia e la direzione in cui si vuole andare, le riprese si allargano, le vedute aeree si moltiplicano e restituiscono un'immagine di un mondo che va in rovina in tempi rapidissimi, orde di infetti intenti a propagare il contagio e ad annientare un'umanità impreparata all'emergenza e che nemmeno di fronte al disastro riesce ad essere inclusiva. Brad Pitt (qui anche produttore) è protagonista quasi assoluto di un film che può contare in ruoli secondari sulla presenza di grandi attori, il nostro Pierfrancesco Favino, David Morse e Peter Capaldi (il dodicesimo Dottore), si aggira all'interno di un film costruito essenzialmente (e molto bene) sulla tensione e sul ritmo, un survival action che pone comunque qualche spunto di riflessione, soprattutto di questi tempi. Il messaggio è amaro, la risoluzione del problema potrebbe essere solo un temporaneo viatico per la sopravvivenza in un mondo che dovrà affrontare le conseguenze del contagio, una guerra (non solo metaforica) ancora tutta da combattere.