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REVIEWSLE RECENSIONI
09/09/2024
Fat Dog
Woof
Il Post Punk fuso con la musica da Club. Synth, tastiere e cassa dritta, aggiungendoci pure una buona dose di klezmer. Il collettivo di South London che promette di divenire la prossima next big thing in ambito musicale si chiama Fat Dog e questo è il loro album, Woof. Freschi, divertenti, senza peli sulla lingua e a quanto pare fortissimi in sede live. Pronti a farvi travolgere dal "cane grasso"?

Se dovessimo vincere il Mercury Prize ci scioglieremo, perché vorrà dire che il pubblico avrà deciso che facciamo cagare. Il Mercury Prize infatti lo danno sempre alle band più schifose, ma noi, se lo vincessimo, potremo sempre dire di essere il miglior gruppo di tutti i tempi!”.

Non ha peli sulla lingua, Joe Love (vero nome “Joe Love”, ci tiene a specificare) cantante e principale mente creativa dei Fat Dog, il collettivo di South London che promette di divenire la prossima next big thing in ambito musicale.

Come hanno fatto ad arrivare così in alto e così in fretta non lo sanno neanche loro, soprattutto a sentire certi aneddoti, come quello del tastierista Chris Hughes, che ha letto un annuncio per cui il gruppo cercava un suonatore di viola, ne ha comprata una online e si è messo ad impararla per un’audizione che ha (ovviamente) miseramente fallito; è stato poi ugualmente reclutato da Love e compagni, perché pare che la bevuta che si sono fatti successivamente non sia stata altrettanto fallimentare.

 

Al di là di questi che sono, con tutta probabilità, elementi di folklore buoni per vivacizzare le interviste, il quintetto del “cane grasso” ha parecchie frecce al proprio arco, giudizio formulato a suo tempo con l’ascolto dei primi singoli, e confermato dopo averli visti dal vivo ad agosto, nel suggestivo contesto di Ypsigrock. Un live potentissimo, selvaggio, dai suoni abrasivi, ma contenente allo stesso tempo una buona dose di umorismo nonsense, tipica di cinque individui che vogliono sì spaccare, ma desiderano farlo a modo loro, senza rinunciare ad un po’ di follia.

D’altronde sempre Joe Love ha scherzato sul fatto che all’ennesima stronzata detta durante un’intervista, la casa discografica (che per la cronaca è la Domino) gli avrebbe impiantato nella testa un aggeggio per provocargli un infarto alla prima volta che avesse dichiarato qualcosa di inusuale. Insomma, di contorno ce n’è tanto, ma attenzione a non considerarli semplicemente come un variopinto gruppo di cazzari. Dal vivo fanno paura, come ho appena detto, ma non sono il solo a pensarla così: hanno da poco girato assieme ad act del calibro di Viagra Boys e Yard Act (gente che sul palco ci sa stare abbastanza) e pare che più di una persona tra il pubblico si sia indispettita perché Love e compagni, con la loro performance, sembravano aver rubato la scena agli headliner.

 

Coprodotto da James Ford (particolare che di per sé dovrebbe far rizzare le antenne) e anticipato da alcuni singoli dall’impatto devastante, Woof è in lavorazione sin dai primi mesi della pandemia ed è stato descritto dai suoi autori come una sorta di concept album sulla fine del mondo (ma poi in un attacco di delirio nonsense hanno citato anche Heart of Darkness di Conrad e allora boh), tanto che la traccia di apertura, “Vigilante”, contiene un’intro narrata con enfasi dall’attore Neil Bell, che pare voler annunciare un’apocalisse, se non fosse che poi ci si tuffa in un barocchismo di Synth tamarri e suoni EDM, ad accompagnare una struttura ritmica non proprio lineare. Siamo dalle parti di Joe’s Garage, la stramba Rock opera di Frank Zappa, oppure di Deconstruction, probabilmente il lavoro più eccentrico di Devin Townsend.

Eppure, al di là di un carattere che definire eccentrico è dir poco, i Fat Dog appaiono come la continuazione di quella ricetta Post Punk che ha reso famosa gente come Idles, Shame o i già citati Viagra Boys. Con la differenza che, al posto di andare via dritti con una sezione ritmica schiacciasassi e puntare tutto sulle chitarre pesanti e distorte, preferiscono infarcire tutto di Synth, tastiere e cassa dritta, aggiungendoci pure una buona dose di klezmer, quasi fossero dei figli malati del Masada Quartet di John Zorn.

Il Post Punk fuso con la musica da Club, come possibile tentativo di svecchiare una formula che rischia ogni giorno di diventare sempre più ripetitiva? Può darsi.

 

I Fat Dog non sono nulla di originale ma suonano freschi e senza limiti nella composizione dei brani (“Funziona come il problem solving - ha spiegato Joe Love nel tentativo di illustrare le proprie modalità di lavoro - ti danno in mano qualcosa che è merda e devi fare in modo che non lo sia”): andatevi a sentire “King of the Slugs”, con la sua alternanza di momenti indiavolati e crescendo ipnotici, oppure le influenze Hip Hop di “Clowns”) e quando spingono sull’acceleratore non ce n’è veramente per nessuno: “Wither”, la quasi Industrial “All the Same”, che strizza più volte gli occhi ai Covenant, il beat martellante di “Running”, sono esempi di un repertorio di primissima qualità, che giustificano in pieno tutto l’hype di questi mesi.

Verremo presto sorpassati: arriverà qualche nuova band, probabilmente inglese e ci ucciderà, ci mangerà il cuore e si impadronirà dei nostri poteri”. Succederà, ma magari non subito. Nel frattempo ascoltatevi Woof e non perdeteveli dal vivo, potrebbero ridefinire il vostro concetto di “live della madonna”.