Facendo un paragone azzardato ma non troppo, ormai Brandon Flowers sta ai Killers come, nella seconda metà degli anni Settanta, Bryan Ferry stava ai Roxy Music. Già, perché se all’altezza della pubblicazione di Flesh and Blood dei Roxy più di qualcuno si era chiesto perché mai non fosse uscito a nome Ferry – gli elementi tipici degli album solisti dello stiloso frontman c’erano tutti: le cover, l’utilizzo di un nutrito stuolo di turnisti e la predilezione per un patinato Soul-Pop a discapito di soluzioni più sperimentali – anche oggi, ad un primo ascolto e spulciando tra i credits di Wonderful Wonderful, quinto album in studio dei Killers, ci si potrebbe domandare la stessa cosa: perché non è uscito a nome di Flowers?
Similmente agli U2, a Flowers interessa molto ciò che la stampa specializzata pensa della sua musica e, nella maggior parte dei casi, ogni nuovo album nel quale è coinvolto è la diretta risposta alle osservazioni fatte al lavoro precedente. Ai tempi di Flamingo, sua prima escursione solista, Flowers aveva di fatto ritrattato la svolta giocosa in stile Talking Heads periodo Little Creatures di Day & Age, recuperando il sound desertico di Sam’s Town; con The Desired Effect era tornato a guardare al Pop anni Ottanta dopo aver giocato un po’ troppo con il Rock FM stagione 1987/88 in Battle Born, nel quale sembrava che Bruce Springsteen e i Cars avessero inciso un album insieme.
Ecco spiegato perché in Wonderful Wonderful, Flowers abbia deciso di proseguire il discorso iniziato due anni fa con il suo The Desired Effect. I due album condividono lo stesso territorio sonoro, ma, a differenza del suo predecessore, Wonderful Wonderful ha, paradossalmente, una dimensione più intima, dato che in diverse canzoni Flowers non ha paura a mettersi a nudo e raccontare molto della sua vita personale. Il blocco dello scrittore che lo ha attanagliato per lungo tempo (“Have All the Songs Been Written?”, con un cameo chitarristico di Mark Knopfler che fa molto “Brothers in Arms”), la difficile battaglia che la moglie sta combattendo contro il disturbo post-traumatico da stress (“Rut” e “Some Kind of Love”), il senso di inadeguatezza (“Tyson vs. Douglas”) e l’effettata arroganza dietro la quale nascondere una grande vulnerabilità (“The Man”).
Prodotto da Jacknife Lee – con alcuni interventi di Erol Alkan e Stuart Price –, Wonderful Wonderful suona solido e compatto, frutto del lavoro di una band determinata, unita da una visione artistica comune e composta da professionisti che sanno come ottenere il sound che vogliono. Niente di più lontano dalla realtà, invece, dato che Mark Keuning suona la chitarra in meno della metà delle canzoni e il bassista Mark Stoermer non segue la band in tour da diverso tempo perché impegnato al college. Accompagnato dal solo Ronnie Vannucci, ecco che Flowers può quindi riempire l’album con tutta la sua personalità, dando sfogo in egual modo alle sue passioni e alle sue idiosincrasie, realizzando un album finalmente sincero e onesto. E non è poco, dato che per molto tempo i Killers sono stati accusati di essere come Las Vegas, la loro città: falsi.