Sono contento che il presente live report segua quello di Luca relativo al concerto di Ibisco, in quanto mi permette di compiere un paio di precisazioni su quella che, nella vulgata underground imperante, viene definita come rinascita o recupero del post-punk. Come correttamente indicato da Luca, molti musicisti moderni traggono ispirazione dalle sonorità in voga negli anni Ottanta, ma pochi degli stessi possono in realtà essere classificati come rappresentanti della classica new wave.
Per rimanere ad Ibisco, una canzone come “Seduci,” oppure ancor più, “Vera” sicuramente possiedono un imprinting wave, ma non possono essere sicuramente considerate come tali, soprattutto, a mio parere, rispetto alle parti cantate.
Da questo punto di vista sono d’accordo con Luca Frazzi che, nel presentare i “100 dischi essenziali new wave e post punk italiani” per uno speciale edito dalla rivista musicale Rumore, nell’editoriale precisa come il termine in oggetto abbia una scansione temporale ben delineata (per lui 1978-1985, ma io arriverei fino al 1987) tutto il resto, seppur definito come post-punk (molte volte per pigrizia intellettuale, altre volte per la voglia di alcuni recensori di darsi un tono “vissuto”) è certamente la ripresa di un sound specifico che, tuttavia, viene modificato e modellato da numerose altre influenze musicali, sia degli anni Novanta che Duemila.
Terminato il pistolotto iniziale passiamo al concerto.
In una serata piovigginosa, in una Milano quasi vuota a causa del ponte di Sant’Ambrogio, dunque, da un certo punto di vista, in un clima ideale, sul palco dell’Arci Bellezza abbiamo potuto seguire tre live acts sicuramente post-punk nel senso specifico del termine.
La serata inzia con Misha Chylkova, una ragazza ceca che vive da qualche anno a Milano, ha realizzato tre 7” pollici ed è in procinto di pubblicare nel 2024 il suo primo album. Il set si è sviluppato su sette brani, di cui tre già editi su 45 giri e quattro appartenenti al nuovo album in uscita.
La presenza scenica risulta ancora un po’ acerba, ma la musica che presenta non lo è; si tratta di una sorta di incrocio tra i Low ed alcune produzioni cosiddette “ethereal”. L’apice del concerto è stato il brano “Doing it all wrong”, con il suo incedere elegante su un tappeto sonoro su cui spicca il cantato di Misha e l’ultimo pezzo “Dead plants”, anche se ha ricordato (forse un po’ troppo) un brano cult di una delle più celebri band post-punk: “Atmosphere” dei Joy Division. Aspettiamo Misha alla prova del long playing per dare un giudizio più completo.
La serata è continuata con gli Starcontrol, gruppo milanese autore dell’album Fragments, pubblicato nel 2018, e di un precedente EP da cui sono state tratte ben sei delle otto canzoni proposte, mentre le ultime due sono stati brani di nuova esecuzione, tra cui “Not meant to be” eseguito per la prima volta in assoluto.
Il suono del trio è profondamente legato alle sonorità darkwave del periodo “aureo”, a partire da “A cruel day” dove la chitarra ricama arabeschi su cui Davide (le cui movenze sul palco ricordano il compianto Ian Curtis) presenta i suoi testi ricchi di immagini melanconiche. La presenza scenica dei tre musicisti rivela una frequentazione dei palchi di lungo corso, con un interplay tra di loro basato su un buon fine tuning.
Personalmente ho trovato “First love to dead” il brano più significativo dell’intero set, dove il cantato vicino ai primi Sisters of Mercy veleggia su un giro di basso groovy, accompagnato da intarsi chitarristici che richiamano gli stilemi classici del sound dark. Il gruppo poi ha già pronti diversi nuovi pezzi, per cui non vediamo l’ora di ascoltare quelle che saranno le nuove pubblicazioni.
La serata si è conclusa con il concerto delle Winter Severity Index. Sul punto dichiaro immediatamente il mio “conflitto di interesse”: ritengo Simona ed Alessandra il gruppo di punta del post-punk italico. Seguo infatti la carriera musicale di queste ragazze sin dalla pubblicazione del primo EP omonimo, pubblicato nel 2011. Di conseguenza, quello che dirò potrebbe essere un po' di parte, ma spero possa essere altresì letto come un motivo di curiosità in più, per chi ancora non le conoscesse, per andare a scoprirle.
Il set di nove canzoni si è basato sull’ultimo album Disgelo, pubblicato nel 2022, con alcune canzoni, come “A sudden cold”, tratte dal loro primo LP Slating Ray. Proprio tale brano si dimostra come l’epitome del suono wave classico per eccellenza: su un tappeto di drumming percussivo si sviluppa un giro di basso e di inserti chitarristici su cui galleggia il cantato evocativo di Simona. Ritengo tuttavia che il sound delle Winter Severity Index nel tempo si sia evoluto, pur mantenendo i classici stilemi post-punk, in occasione dell’album Human Taxonomy, da cui è stato tratto il brano conclusivo “Waiting Room”.
Il piatto forte del concerto è stato comunque l’ultimo disco, dove lo spettro della ricerca musicale delle due musiciste risulta ancor più ampliato rispetto alle precedenti occorrenze, in cui è presente un maggiore utilizzo dell’elettronica; vedasi ad esempio “Solar Cycle 25”, dove spicca il cantato di Simona su una serie di linee sintetiche arricchite da un drumming mid-tempo, o ancora “State of Matter”, entrambe presentate live unitamente a “The Tide” e a “Cause and Effect”.
L’impressione che ho avuto dal loro concerto è stata positivamente ambivalente: dal vivo le Winter Severity Index risultano, soprattutto negli ultimi brani dell’ultimo album, da un lato più attente ad una ricerca ritmica, quasi da alternative danceable, dall’altro, in maniera quasi dicotomica, si avvicinano in qualche modo a lambire degli scenari quasi post-rock, che possa essere questo il loro prossimo “salto musicale”?