Non sarebbe il caso che se ne andassero in pensione?
Beh, certo, l’età è quella. Però se ascolti il disco, questi vecchietti sembrano davvero in gran forma.
Dimmi che senso ha? Ormai lo fanno solo per soldi.
Dai, ma non scherzare! Questi di soldi ne hanno a palate. E poi, anche se fosse, perché dovrebbero lavorare gratis? Il disco, ti assicuro, è davvero buono: quindi, ben venga la stolta pecunia.
Si, però Ian Gillan ormai è bollito e non ce la fa più a prendere i suoi mitici acuti.
Vero. Il tempo però passa per tutti e, siamo sinceri, chi a settantacinque anni riesce a fare le cose che faceva a venti? Sse questa obiezione vale per le performance dal vivo, in studio non è così. Ian ha cambiato modo di cantare e con qualche ritocchino in fase di produzione (ma nemmeno tanti) riesce ancora a stare sul pezzo e a fare la sua porca figura.
L’ipotetico dialogo fra detrattori e fan dei Deep Purple potrebbe continuare così per ore e probabilmente non se ne verrebbe a capo. Come spesso succede in molte dispute, la verità sta semplicemente nel mezzo. Non è certo un mistero che la band britannica, dopo ben mezzo secolo di carriera, mostri, soprattutto nei membri originari rimasti, qualche cedimento dovuto all’età avanzata; ed è altrettanto vero che questa musica potrebbe suonare anacronistica alle orecchie di chi è immerso completamente nel presente e magari guarda in tralice e con sospetto tutto ciò che proviene dal passato. E poi, i cinque vecchietti fanno lo stesso genere ormai da mezzo secolo, e anche i suoni sembrano rimasti strenuamente ancorati agli anni ’70.
Tuttavia, come dovrebbe sempre essere, almeno per chi ama scrivere di musica, i dischi vanno ascoltati, e parlare male di Whoosh!, ventunesimo album in studio di Gillan e soci, sarebbe una narrazione non veritiera. Perché, una volta evidenziate le eventuali criticità e i limiti dell’operazione, questo nuovo, ennesimo album, è davvero buono.
Che i Deep Purple, negli ultimi anni, grazie anche ai riuscitissimi innesti nella line up di Steve Morse e Don Airey, stessero vivendo, se non una seconda giovinezza, momenti di rinnovato vigore, è fuor di dubbio. Whoosh! non fa altro che confermare l’ottimo stato di forma di una band che, nello specifico, pur riproponendo una materia nota, riesce a farlo con inusuali freschezza e vigoria, almeno per una compagine di ultra settantenni.
Il disco, è forse pleonastico dirlo è suonato benissimo. Gillan, come si diceva, è molto meno pirotecnico dei giorni gloriosi, ma se la cava con mestiere; Glover e Paice continuano a darci dentro con intensità, e Morse e Airey non sono certo due scappati di casa, ma musicisti coi fiocchi, che sanno il fatto loro e aggiungono, in termini di verve, quello smalto in più, che serve a far brillare le canzoni del disco (la prova di Airey, per dire, è di altissimo profilo).
In scaletta, poi, compare qualche tentativo, peraltro riuscito, di spostare gli accenti per cambiare una declinazione ormai nota: a fianco, infatti, delle consuete e incalzanti cavalcate hard (Drop The Weapon, Throw My Bones, No Need To Shout), troviamo azzardi prog di ottima fattura (Man Alive, Step By Step), riletture di loro classici (lo splendido strumentale And The Address) e tirate rock’nroll dal sapore antichissimo (What The What).
Nulla di nuovo sul fronte occidentale, e probabilmente nessuno se lo sarebbe mai aspettato. Se è vero, però, che i Deep Purple, che la storia l’hanno fatta, non hanno più da tempo lo sguardo rivolto al futuro, è altrettanto vero è ancora presto per definirle balene spiaggiate. Un ritorno positivo e ispirato, che a loro allunga la vita, e a noi il piacere dell’ascolto.