Una premessa, mai come per questo disco, è indispensabile. Mettete il vinile sul piatto o il cd del lettore, cercando di dimenticare chi erano gli Who. Anzi, ancora meglio, fate uno sforzo ulteriore e immaginate che questo sia il disco d’esordio di una band che ascoltate per la prima volta. Così facendo, salverete la vostra libertà intellettuale e l’obbiettività del giudizio. Dimenticate, quindi, che sono passati cinquantaquattro anni da quando uscì My Generation, dimenticate l’epos di Quadrophenia, Tommy e Who’s Next, dimenticate che questo è il primo album in studio dal 2006, dimenticate soprattutto che queste due simpatiche canaglie si portano sulle spalle centocinquant’anni in due, settantacinque a testa.
Perché è quasi inevitabile essere prevenuti di fronte a un disco come questo, frutto di una nuova collaborazione fra due, Roger Daltrey e Pete Townshend, che hanno passato da un bel pezzo l’età della pensione, e che nell’immaginario di molti detrattori sono considerati aprioristicamente due balene spiaggiate, due dinosauri sopravvissuti stancamente al logorio del tempo e che, ovviamente, non hanno più nulla da dire, se non lucidare a fini economici un illustre marchio di fabbrica.
Invece, non è così, perché Who è un buon disco, che si fa ascoltare con piacere e regala ancora momenti degni di essere ricordati. Certo, il songwriting di Townshend non è più scintillante come un tempo, e Daltrey, ma questo è inevitabile, ha cambiato modo di cantare, e cerca molto di più la sfumatura e la profondità che la potenza. Who, poi, è un disco molto più pop che rock, fa dispiego di archi e di synth e ammicca anche al mainstream.
Non c’è però l’effetto nostalgia che molti si potevano immaginare: Daltrey e Townshend non replicano se stessi, non posano come le stanche controfigure degli eroi dei tempi gloriosi, ma cercano altre strade per mettere in gioco le loro idee ed essere ancora credibili. Così Who è un disco che riesce a tenere insieme un suono classico e aperture a sonorità più moderne: senza forzature, con semplicità e, e lo dico senza nostalgia, con una classe che nonostante gli anni resta ancora cristallina.
Non tutto è centrato (ma quanto sono rari i casi in cui un filotto di canzoni siano tutte egualmente all’altezza?) e la prima parte del disco è decisamente più ispirata rispetto alla seconda.
All This Music Must Fade apre il disco con un tiro incredibile e per un attimo sembra che tutto sia rimasto immutato, dal momento questa canzone è quella più decisamente “Who” di tutto il lotto. Certo ci sono anche degli episodi che fanno storcere il naso, come avviene nel folk pop alla Of Monsters And Men di Break The News, che se da un lato testimonia la volontà del duo di cercare un approccio alla modernità, risulta, per quanto gradevole, lontanissima dalle attitudini della band. Però, nel complesso il disco tiene, e bene, con canzoni come Detour, Rockin’ In Rage, Street Song e Ball And Chain che sono tutt’altro che da buttare, anzi.
So che è impresa ardua convincere chi ritiene gli Who un gruppo finito già alla fine degli anni ’70 e questa una musica buona per vecchi e nostalgici rocker che non riescono a farsi una ragione del tempo che passa. Tuttavia, bypassare il disco senza dargli una possibilità sarebbe ingiusto. Daltrey e Townshend saranno anche due arzilli vecchietti, ma il loro lo sanno ancora fare, e Who, che non è certo una delle uscite più significative del 2019, si fa comunque voler bene. E non è la nostalgia a decidere, ma un pugno di buone canzoni.