Un artista con un leggendario passato alle spalle, un’artista con un luminosissimo futuro davanti a sé. Elton John e Brandi Carlile, due mondi apparentemente inconciliabili anagraficamente (John è del 1947, Brandi del 1981), geograficamente (uno inglese, l’altra americana) e musicalmente (uno figura eminente del pop britannico, l’altra ex enfant prodige della scena folk statunitense, che negli anni ha però ampliato il proprio spettro espressivo) vengono a contatto e fanno scintille. Un azzardo perfettamente riuscito, nonostante non poche difficoltà iniziali.
Alla fine, nonostante le evidenti differenze, a prevalere sono stati i numerosi punti in comune, a partire dall’appartenenza di entrambi alla comunità LGBT, dallo sguardo nostalgico verso gli anni ’70, da condivisi eroi musicali e, soprattutto, dall’abitudine a intrecciare interessanti collaborazioni.
La Carlile, infatti, ha fondato le Highwomen, supergruppo con Amanda Shires, Natalie Hemby e Maren Morris, e ha lavorato con artisti del calibro di Soundgarden, Willie Nelson, Sting, Sam Smith e da ultimo con Joni Mitchell, con cui ha dato vita allo splendido live al Newport Folk Festival. Da parte sua, Elton John, oltre alla storica partnership con Bernie Taupin, annovera collaborazioni con Leon Russell (The Union del 2010), ha pubblicato un album di duetti (Duets nel 1993) e il suo ultimo disco, The Lockdown Sessions del 2021, è stato registrato durante la pandemia con artisti che spaziano da Dua Lipa e i Gorillaz a Eddie Vedder e Stevie Wonder.
In quel lavoro, compariva anche Brandi Carlile nella bella "Simple Things", che è stato il momento in cui le rispettive anime musicali hanno compreso di essere molto più affini di quanto si potesse prevedere.
L'idea per un album insieme è venuta, successivamente a John, che la propose a Carlile durante un pranzo nella sua casa di Los Angeles dopo la conclusione della tappa americana del suo tour Goodbye Yellow Brick Road. Al momento del caffè, era tutto concordato: Andrew Watts avrebbe prodotto e Bernie Taupin avrebbe scritto i testi per quella che sarebbe stata un vero e proprio disco condiviso, con canzoni composte a otto mani. Le cose, almeno all'inizio, non andarono troppo lisce: Elton era esausto e irritabile, e ora sappiamo che dopo alcuni anni già difficili gli è venuto un grave problema alla vista, che (per il momento) lo ha reso di fatto cieco.
Poi, è scoccata la scintilla, e il risultato è stato un filotto di canzoni che è molto di più della somma delle sue due parti. In Who Believes In Angels? si percepisce la presenza di due musicisti perfettamente affiatati, le cui voci si fondono in modo impeccabile, e il pianoforte di uno e la chitarra dell’altra vivono in armoniosa sintonia. Ne deriva una scaletta coloratissima, frizzante e potente, in cui pop e rock si combinano dando vita a uno sguardo nostalgico sugli anni ’70, ma anche a momenti di travolgente entusiasmo luminoso e glitterarato, frutto di una sintonia registrata in modalità divertissement.
Al successo, poi, hanno contribuito un pugno di musicisti dal nobile pedigree, Chad Smith (Red Hot Chili Peppers), Pino Palladino (Nine Inch Nails, Gary Numan e David Gilmour) e Josh Klinghoffer (Pearl Jam, Beck), e la produzione quanto mai centrata di Andrew Watts (capace di resuscitare il suono del miglior John).
Tutto qui è clamorosamente glamour, ma senza ostentazione, a partire dalla coloratissima copertina, un abbagliante rétro anni Settanta con riferimenti a Tina Turner e ai Village People, a Amy Winehouse e Little Richard, quest'ultimo celebrato nello scattante secondo brano in scaletta, "Little Richard's Bible", che pare sia stato il momento di svolta in quelle sessioni di registrazione che all’inizio sembravano avviarsi verso il disastro.
E che lo sguardo sia rivolto verso il passato di eroi musicali condivisi, lo si comprende immediatamente, appena parte l’opener "The Rose Of Laura Nyro", omaggio commosso alla songwriter newyorkese venuta a mancare nel 1997. Un brano composito, che si apre con un lussureggiante intro di tastiere, citando la splendida "Eli’s Coming" (dall’iconico Eli And The Thirteenth Confession del 1968), prosegue con uno splendido assolo di chitarra blues che introduce alla più classica ballata alla Elton John. Una melodia sfavillante destinata a restare nel tempo, forse la vetta di un disco che ha davvero pochi momenti prescindibili (la seconda parte è meno riuscita della prima), e che rende onore a una musicista, della quale Elton John ha detto: “La idolatravo. L'anima, la passione, l'audacia senza riserve... come non avevo mai sentito prima”.
C’è grande musica in Who Believes In Angels?, a partire dalla title track, così deliberatamente nostalgica, ma di una nostalgia che cresce e si gonfia in palpiti di autentica felicità, grazie a un ritornello da mandare a memoria e cantare con una lacrima che scende lentamente sulle labbra dispiegate in un sorriso infinito.
Se la citata "Little Richard's Bible" è un rock’n’roll tutto glam ed energia, e quei tasti del pianoforte pestati ossessivamente riportano alla mente inevitabilmente "Saturday Night’s Alright (For Fighting)", "Never Too Late" è una ballata da capogiro, esatto punto di fusione fra due artisti in perfetta simbiosi.
Così, anche nel caso in cui i brani sono un po’ telefonati ("A Little Light", "Someone To Belong To"), l’interplay fra i due è il carburante nobile che tiene in piedi lo show, uno show nel quale John evita accuratamente pose da super star, per condividere democraticamente la scena con la più giovane Carlile.
La quale, dal canto suo, offre uno dei momenti più toccanti del disco con "You Without Me", toccante ballata dedicata alla figlia undicenne, che evoca la delicatezza sgranata di certe canzoni di Sufjan Stevens.
Chiude il disco "When This Old World is Done with Me", un brano di grande intensità, che lascia senza fiato: Elton guarda con gli occhi gravemente offuscati al traguardo degli 80 anni che si avvicina, e concilia il bellissimo testo di Taupin con una brillantezza melodica e armonica che solo i grandi. Potrebbe sembrare una conclusione sdolcinata, ma non lo è affatto, e la semplice combinazione di voce e pianoforte è davvero mozzafiato.
“E quando questo vecchio mondo avrà finito con me, Sappi solo che sono arrivato fin qui, Per essere fatto a pezzi, Spargetemi tra le stelle, Quando questo vecchio mondo avrà finito con me, Quando chiudo gli occhi, Liberatemi come un'onda dell'oceano, Riportatemi alla marea”.
Una canzone che suona come il canto del cigno, come un addio. La speranza è che Elton non "torni alla marea" tanto presto, e che continui a scrivere grande musica. Ma quando il sipario di velluto si chiuderà sulla sua straordinaria vita, questo brano sarà un valido promemoria della sua grandezza, tanto quanto qualsiasi altro brano di John al suo meglio.
Rendiamo allora merito all’angelo Brandi Carlile, sceso dal cielo per resuscitare la vera anima del vecchio leone, realizzando un'impresa quasi impossibile: unire la linea dove finisce un artista e inizia l'altro. Perché le dieci canzoni di Who Believes In Angels? non potrebbero esistere senza la presenza e il contributo reciproco. Un passato leggendario e un luminoso futuro che si fanno presente.