Dopo un finale che aveva saputo ribaltare tutte le carte in tavola, Westworld riprende la sua corsa, ancora più confusa, altrettanto splendida, in cui quelle carte proseguono il loro gioco, la realtà e il tempo si confondono così come si confondono i buoni e i cattivi.
Diciamo pure che è difficile distinguere ormai tra chi è buono e chi è cattivo, se dovremmo tifare per quei robot così umani o no, se solo per il cuore materno di Maeve e non per la freddezza inquietante di Dolores, o stare dalla parte degli umani, per Bernard che sempre più umano degli umani sembra, o per William e la sua impresa ormai impossibile di trovare una soluzione al gioco, al labirinto, un senso alla sua esistenza. La soluzione, divisi come si è, è quella di godersi lo spettacolo, mettere da parte la possibilità di trovare tutte le risposte e godere pure dei dubbi, della confusione, delle dimenticanze e dei piccoli colpi di scena. Lo spettacolo, per fortuna, non manca davvero, con una rivolta sempre più sanguinolenta che va avanti, che ci mostra altri mondi, tra un'India imperiale e un Oriente in cui personaggi e storyline si ripetono in salsa geishe e samurai, che ci introduce a nuovi personaggi come una figliol prodiga avventata come il padre. Se la storyline principale è fatta di avanzate di cui però -duole ammetterlo- c'interessa poco e di cui poco si vede il senso mentre si sente l'allungamento del brodo del tutto (la Terra Promessa dell'al di là della Valle, il ritrovo di una figlia che più figlia non è e mai è stata, il fermare con ogni mezzo gli umani sembrano obiettivi che poco reggono per 10 episodi), sono i "flashback" o meglio, le parentesi a catturare e ad affascinare, sono gli scontri intellettuali tra Dolores e Bernard, tra William e il suocero, tra Bernard e il compianto Ford. Questi scontri, questi incontri, questi scorci di un passato remoto, di un presente alternativo, di un tempo che chissà quand'è, sono così pieni di fascino da giustificare tutto il resto, sacrifici non necessari compresi. E poi c'è lui, Kiksuya, l'episodio 8 che dà voce a un personaggio che non si credeva avesse voce, la cui lingua in pochi si son presi la briga di imparare e che raccontando il suo passato, il suo vagare, ricordando, scorgendo verità, spezza il cuore diventando un piccolo capolavoro. Ed ecco, basterebbe questo singolo episodio per innalzare questa confusa seconda stagione che di certo è uno scoglio non da poco con cui confrontarsi. Ma ci sono anche gli incontri cruciali tra Dolores e Maeve, ci sono sempre le interpretazioni da brividi di una Evan Rachel Wood mai così cattiva, di un Jeffrey Wright confuso pure lui, di una volitiva Tessa Thompson, di una splendida, coraggiosissima Thandie Newton supportata dalla sorpresa Simon Quarterman, ci sono scene di combattimento che entusiasmano (tra tori, samurai e incantesimi) e c'è poi quella colonna sonora che continua a regalare brividi tra una rivisitazione in chiave edo dei Rolling Stones, una magistrale Heart-Shaped Box dei Nirvana, e gli immancabili Radiohead che sul finale aumentano la poesia in mezzo ai tanti dubbi e all'occasione sprecata di mostrare la moglie di William, macchietta poco giustificabile. Confusa e felice, confusa e splendente, Westworld si ripete e stupisce ancora, promettendo altrettanti brividi per un futuro quanto mai incerto, per lo sviluppo che si avrà, per la sopravvivenza del genere umano stesso.