A ridosso dell’uscita, a sorpresa, del diciassettesimo album in studio di Ryan Adams, Wednesdays, prima Giovanni Ansaldo di «Internazionale» e poi Gianni Sibilla di «Rockit», in passato suoi grandi estimatori, si sono chiesti se abbia ancora senso ascoltare la musica del cantautore originario del North Carolina, visto quanto è emerso lo scorso anno da un’inchiesta del «New York Times». Domanda complessa, alla quale entrambi – alla fine – non hanno saputo dare una risposta. Se la sono cavata più facilmente, e con molti meno scrupoli, i media americani, ignorando del tutto l’uscita del disco, soprattutto quelli che, fino a qualche mese fa, non avrebbero esitato a parlarne.
Ma facciamo un passo indietro. All’inizio di gennaio del 2019, Ryan Adams aveva annunciato che nel corso dell’anno avrebbe pubblicato tre album. Il primo si sarebbe intitolato Big Colors e sarebbe uscito in aprile; del secondo aveva reso noto il titolo, Wednesdays; mentre sul terzo non erano stati comunicati ulteriori dettagli. Un mese esatto dopo, però, il «New York Times» ha pubblicato un’inchiesta, nella quale sette donne (di cui una, all’epoca dei fatti, ancora minorenne) accusavano Adams di averle molestate e di aver abusato di loro psicologicamente. Tra queste, l’ex moglie Mandy Moore e la cantautrice Phoebe Bridgers. A conseguenza dell’articolo (a cui sono seguite delle indagini da parte dell’FBI di cui non ci sono però note – se ci sono state – le conclusioni), Adams, dopo aver inizialmente negato ogni accusa ed essersi in un secondo momento scusato pubblicamente, è stato scaricato dalla sua casa discografica, la Blue Note, ed è sparito dalla circolazione. Fino a oggi.
Rispetto a quanto annunciato, Wednesdays si presenta oggi con una tracklist diversa, dal momento che i pezzi di apertura e chiusura del disco, “I’m Sorry and I Love You” e “Dreaming You Backwards”, in origine dovevano far parte di Big Colors, mentre ben otto delle 17 canzoni originali non sono state incluse, portando l’album a 11 pezzi per 42 minuti. È rimasto però l’impianto prevalentemente acustico e autunnale, che permette a Wednesdays di collocarsi nel filone dei dischi riflessivi di Ryan Adams, assieme ad Heartbreaker, 29, Ashes & Fire e il bellissimo Love is Hell, ispirato com’è al divorzio dall’ex moglie Mandy Moore (la copertina originale era infatti una citazione di Nebraska di Bruce Springsteen, solo che al posto del paesaggio invernale visto attraverso il parabrezza di un pick-up c’era una fede nuziale appoggiata su un tavolino).
Dal momento che non abbiamo a disposizione i crediti del disco, non sappiamo se in questa versione rivisitata di Wednesdays compaiano ancora Emmylou Harris, Benmont Tench, il leggendario produttore Don Was e Jason Isbell (che ha espresso pubblicamente il suo rammarico per aver lavorato in passato con Adams), come comunicato all’epoca. Però possiamo dire che Wednesdays è in tutto e per tutto un viaggio nel dolore, che sia questo originato dalla fine di una storia d’amore, dalla scomparsa di una persona cara, come racconta “When You Cross Over”, nella quale Ryan saluta il fratello Chris, scomparso nel 2017 dopo una lunga malattia, oppure da un amore non corrisposto, come in “Who Is Going to Love Me Now, If Not You”. C’è poi spazio anche per un’ode filiale (“Mamma”, che a tratti sembra però anche un’invetica) e per un’apologia rivolta a chi è stato ferito dai propri comportamenti (“I’m Sorry and I Love You”), nel tentativo di raccontare attraverso la musica i difficili mesi vissuti, descritti da Adams come un periodo sospeso, un vero e proprio “limbo”, ben rappresentato sia dal titolo del disco sia dalla copertina, un particolare del dipinto La gare du Nord del pittore impressionista olandese Siebe Johannes ten Cate.
Dopo una carriera trentennale e oltre una ventina di album all’attivo, tra lavori solisti, con i Cardinals e con i Whiskeytown, è difficile aspettarsi ora particolari novità da parte di Ryan Adams (sono lontani i tempi delle follie metal di Orion o gli esercizi di stile di 1984 e 1989). Wednesdays pesca infatti da alcuni dei riferimenti abituali del cantautore di Jacksonville, in particolare il Neil Young di After the Gold Rush e On the Beach, il Bruce Springsteen acustico di Nebraska e quello confessionale di Tunnel of Love, il Jason Isbell redento di Southeastern e – soprattutto – il Bob Dylan di Blood on the Tracks. Tutti dischi realizzati in un momento di crisi dei rispettivi autori, all’interno dei quali hanno instillato tutto il dolore e la vulnerabilità di cui sono stati capaci. E lo stesso succede anche in Wednesdays, i cui pezzi (scritti, va detto, prima dell’inchiesta) sono così onesti, diretti e sfacciatamente autobiografici da lasciare addosso all’ascoltatore uno spiacevole senso di disagio, come se si stesse spiando la vita di Adams dal buco della serratura.
Da come (non) è stato ricevuto l’album negli Stati Uniti, è chiaro che Ryan Adams al momento non ha più un pubblico (le recensioni sono inesistenti e gli streaming su Spotify sono molto bassi) ed è stato sottoposto alla cosiddetta cancel culture. Ed è un peccato, perché Wednesdays, da un punto di vista puramente musicale, è davvero un ottimo disco, degno di stare tra i migliori lavori del cantautore americano. Detto questo, Adams, come tutti (se è vero che gli Usa sono la patria delle seconde opportunità), ha il diritto di riprendere la propria carriera. Ma solo dopo aver dimostrato di aver imparato dagli errori commessi e aver chiesto scusa sinceramente alle vittime per le sue azioni: finora, bisogna essere sinceri, le sue dichiarazioni e i suoi comportamenti sono apparsi per lo meno maldestri. Solo così tornerà a guadagnare la credibilità perduta.