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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
19/08/2019
Live Report
Wedding Present -At The Edge Of The Sea (Brighton)
I Wedding Present avranno anche poco senso nell’universo musicale odierno, saranno anacronistici e tutto quello che volete. Eppure, ancora una volta, vado via felice e non vedendo già l’ora del prossimo anno

L’At the Edge of the Sea per noi italiani è un qualcosa di assolutamente misterioso e non potrebbe essere altrimenti. I Wedding Present (o gli Wedding Present, ci dev’essere una regola grammaticale in proposito ma la ignoro e d’altronde loro sono talmente poco considerati dalle nostre parti che dubito qualcuno si sia mai posto il problema di pronunciarne il nome) sono uno di quei classici gruppi di culto della seconda metà degli anni ’80, arrivati sull’onda del successo degli Smiths e dediti ad un Jangle Pop onesto e qualitativamente pregevole, autori di almeno due dischi considerati capisaldi del genere: l’esordio “George Best”, del 1987 (la cui copertina, con la foto del celebre calciatore del Manchester United, è a suo modo divenuta un’icona minore nel mondo musicale britannico) e il successivo “Bizarro”, del 1989, di cui proprio quest’anno ricorre il trentesimo anniversario e che il gruppo sta infatti portando in giro nel suo nuovo tour. Si potrebbe senza dubbio menzionare anche “Seamonsters” (1991), che è uno dei loro lavori migliori e che si avvale della produzione di Steve Albini (il leggendario produttore americano lavorerà con loro anche in “El Rey”, il secondo disco dopo lo scioglimento temporaneo di fine anni ’90).

Per il resto, sono passati attraverso una lunghissima serie di cambi di line up (a memoria, mai la stessa formazione per due dischi di fila), tanto che l’identità del gruppo è da sempre legata a David Gedge, cantante e chitarrista, oltre che autore di pressoché tutti i brani.

Ed è proprio David Gedge l’ideatore di At the Edge of the Sea, il cui nome è ispirato ad uno dei primissimi singoli della sua band, un mini festival che in due giorni vede i Wedding Present esibirsi due volte, in compagnia di altre band, britanniche e non, selezionate dallo stesso Gedge e spesso legate a lui da rapporti di amicizia (ogni anno c’è sempre almeno un gruppo in cui milita qualcuno dei numerosi ex membri del gruppo). Questa è ormai anche la sola occasione per vedere dal vivo i Cinerama, il progetto che Gedge ha messo in piedi dopo lo scioglimento del suo gruppo, con il quale ha realizzato tre album ed una marea di bside, e che è la declinazione più melodica del sound della sua band principale, con un occhio particolare alle orchestrazioni e alle atmosfere da soundtrack.

La formula delle ultime edizioni è sempre la stessa: al venerdì i Wedding Present, preceduti da un gruppo di apertura, suonano interamente un disco di cui ricorre l’anniversario. Nel 2017 era “George Best”, l’anno successivo toccò a “Tommy”, una raccolta dei primi singoli, mentre a questo giro è il turno di “Bizarro”, l’album che contiene due delle loro canzoni più famose in assoluto, “Brassneck” e “Kennedy” e che dal punto di vista puramente musicale, rappresenta forse il loro apice.

La giornata successiva, invece, è dedicata alle band, che non sono mai famose e che talvolta sono anche di livello piuttosto basso (specie i progetti degli ex componenti, niente di più che gruppi di amici che si ritrovano in sala prove a cazzeggiare); i Cinerama suonano una quarantina di minuti subito all’inizio, i Wedding Present chiudono, normalmente con un set da una settantina di minuti, questa volta senza un tema particolare.

In mezzo, una simpatica lotteria che mette in palio memorabilia della band, un bancone del bar che è sempre costantemente preso d’assalto e un banchetto del merchandising dove si può trovare più o meno tutto quello che Wedding Present e Cinerama hanno pubblicato nel corso degli anni, anche se certi singoli ed edizioni limitate ormai sono andate esaurite.

La location è il Concorde 2, uno dei locali più celebri di Brighton (il festival non si è sempre fatto qui ma da quando David vi si è trasferito è divenuta la sede più comoda), situato in riva all’oceano, proprio in fondo alla classica promenade che è uno dei punti centrali della vita sociale di questa cittadina, in una zona che sarebbe molto più piacevole se venisse riqualificata come da anni viene promesso.

L’evento va sempre sold out ma non è una notizia: la capienza massima è di circa 600 posti e l’età media dei partecipanti è elevata, praticamente sono quelli che seguivano il gruppo agli esordi e che gli sono rimasti fedeli nel corso degli anni anche se, bisogna notarlo, la maggior parte di essi si accende solo quando vengono suonati brani dai primi quattro album (c’è il solito gruppo di inglesi grossissimi e perennemente ubriachi, che staziona nelle prime file e che quando parte uno dei suddetti pezzi, si lascia andare ad un pogo selvaggio. Vi lascio immaginare che cosa successe quando fecero tutto “George Best”. Io, che ero alla mia prima edizione, mi piazzai bello tranquillo in prima fila e presi una marea di botte).

La cosa bella è che c’è gente da ogni dove: la maggior parte proviene ovviamente dal Regno Unito, ma ci sono tedeschi, spagnoli, americani (pare che quest’anno una coppia sia venuta dal Nebraska solo per i Cinerama), giapponesi, sudamericani. Italiani non lo so, nelle tre edizioni a cui ho partecipato non ne ho mai visti ma per la legge dei grandi numeri almeno uno oltre me dovrebbe pur esserci.

Insomma, se siete fan del gruppo e volete vederlo suonare, dovete venire qui. Anche perché, negli ultimi anni, Gedge e compari di concerti ne fanno parecchi ma a parte Gran Bretagna e Asia, dove sono discretamente popolari, gli altri paesi sono molto centellinati. In Italia, per dire, ci vennero solo una volta, diversi anni fa e ancora non li conoscevo. Quando intervistai David mi disse chiaramente che non ci sarebbero mai più tornati, vista la scarsissima affluenza.

Io, dicevo, l’At the Edge of the Sea l’ho scoperto due anni fa e da allora ci sono sempre tornato. È assurdo, direte voi, perché nonostante tra una cosa e l’altra non si venga a spendere troppo, stiamo sempre parlando di andare all’estero per seguire un gruppo che è considerato minore persino nella madrepatria. Eppure, io ai Wedding Present sono davvero affezionato. È il classico caso di amore incondizionato e privo di una qualsiasi parvenza di razionalità perché, va bene tutto, ma dischi come “Watusi” o “Saturnalia”, per non parlare poi di gran parte del repertorio post reunion, oltre ad avere un’importanza pressoché nulla nella storia musicale degli ultimi decenni, non possono neppure essere definiti dei capolavori. A me personalmente non frega nulla: ho tutta la discografia, un sacco di live (peraltro sono stati tra i primi a registrare i loro concerti e venderli attraverso il circuito del fan club e tuttora periodicamente esce qualcosa relativo al periodo più recente) e pur essendo consapevole che certe cose sono abbastanza improponibili, mi ritrovo ad apprezzare bene o male tutto quello che hanno fatto.

E così ogni anno ad agosto mi ritrovo sempre qui, in una città che comunque è anche interessante (il Brighton Pavillion, per dirne solo una, merita decisamente una visita) e ricca di dintorni affascinanti che sono l’ideale per chi ama camminare immerso nella natura.

Certo, l’idea di essere totalmente pazzo mi ha sfiorato più volte, soprattutto da quando l’Ypsigrock, che si svolge in contemporanea, ha iniziato a sfornare delle line up da urlo; eppure, un po’ per la logistica, un po’ per il clima (la Sicilia ad agosto è un qualcosa a cui non sono preparato), ogni volta ci ricasco.

Ed è sempre la stessa scena: parto dicendo che sarà l’ultima volta, poi immancabilmente, allo sfumare dell’ultima nota dell’ultimo brano del secondo concerto, mi ridico che anche l’anno successivo non potrò mancare. Già, persino il prossimo anno, quando ad essere celebrato sarà un lavoro minore come “Take Fountain”.

Se siete arrivati a leggere fin qui siete degli eroi. Adesso, per chi nutrisse un qualche interesse nello svolgimento di questa edizione, due parole le posso anche dire, chissà mai che non contribuisca a creare qualche nuovo adepto…

Comunque. Venerdì me la prendo con comodo perché in apertura ci sono i JOHN e non mi piacciono particolarmente. Per carità, dal vivo sono una bella mazzata, li avevo già visti aprire per gli IDLES l’anno scorso ma il loro songwriting, molto debitore ad un Punk Hardcore senza compromessi, mi lascia un po’ freddino. Vedo dunque solo una manciata di pezzi, giusto per rendermi conto che non c’è nulla di nuovo sotto il sole.

Questa è la sera di “Bizarro” e il gruppo di Hooligan pogatori è già posizionato sotto il palco, impaziente di entrare in azione. So già però che non lo suoneranno tutto di fila: le dieci canzoni saranno eseguite in ordine di tracklist ma spalmate in mezzo al set. Una soluzione che personalmente non prediligo (di per sé non amo neppure questo tipo di operazioni nostalgiche ma se devo sentire un disco suonato per intero, mi piace sentirlo senza interruzioni) ma è anche vero che così il concerto risulta più dinamico.

Si parte con “Rotterdam”, da “Seamonsters”, un brano piuttosto conosciuto e che infatti sono in tanti a cantare. Dopodiché, ci si tuffa a pesce nel grande festeggiato, con la prima triade di canzoni costituta da “Brassneck”, “Crushed” e “No”. Tutto come da copione: ritmi elevati, chitarre potenti e pogo assicurato.

La formazione del gruppo da un anno a questa parte è stabile e comunque negli ultimi tempi ha subito una sola variazione. Se consideriamo la loro storia, è un record assoluto ed è senza dubbio rassicurante vedere sul palco le solite facce, oltre all’onnipresente Gedge.

Alla batteria c’è Charles Leyton, ormai vera e propria colonna, visto che è in formazione dal 2005 (“A parte me, è quello che ha suonato più concerti con i Wedding Present”, ha scherzato David presentandolo alla fine della serata), beniamino del pubblico, che gli tributa ovazioni a più riprese, Charles non è solo un ottimo batterista (probabilmente il musicista più dotato dei quattro) ma è anche il compilatore esclusivo delle setlist della band e vi assicuro che le sue scelte non sono mai banali e spesso e volentieri ama rispolverare bside, brani minori o addirittura cose che lo stesso Gedge si era dimenticato esistessero (“Se avete da lamentarvi, andate da lui!” ama dire spesso). Alla chitarra c’è Danielle Wadey, che è anche la compagna di Charley (alla fine della seconda sera, David annuncerà che i due avranno presto un bambino, provocando un vero e proprio tripudio in sala) e che l’anno scorso è passata dal basso alla chitarra, per rimpiazzare il defezionario Markus Kain. Al basso, sempre dall’anno scorso, c’è Melanie Howard, che comunque aveva già suonato alcuni concerti coi Cinerama. In pratica, tra una cosa e l’altra, questo è il secondo anno di fila con la stessa formazione: può sembrare assurdo ma è un qualcosa di cui essere fieri.

Onestamente, non si tratta di grandi musicisti: gli arrangiamenti sono fin troppo semplicistici, anche per gli standard del genere e nonostante il tiro e la potenza non manchino e non ci siano imprecisioni clamorose, in più di un’occasione si ha la sensazione di trovarsi di fronte a qualcosa di piuttosto grossolano. Non è un problema, comunque: bene o male, qualunque line up abbiano avuto, i Wedding Present sono stati così e forse anche questo è parte del loro fascino.

Stasera c’è “Bizarro” ma ci sono anche alcune chicche notevoli in scaletta: a partire da una inedita “Don’t Ask Me”, che speriamo faccia parte di un futuro nuovo album, passando per la cover dei Close Lobsters “Let’s Make Some Plans”, incisa anni fa come bside, fino ad arrivare ad una delle primissime esecuzioni di “Jump In, the Water is Fine”, lato A del nuovissimo singolo, uscito solo un paio di settimane fa.

Nel mezzo, brani dal passato remoto come “Fleshworld”, “Spangle” e la conclusiva “Nobody’s Twisting Your Arm”, singolo del periodo “George Best” non incluso nell’album e che era stato anche assente dalle celebrazioni del 2017.  

I pezzi da “Bizarro” escono tutti alla grande, in particolare le più lunghe “Bewitched” e “Take Me”, con i loro chilometrici finali fatti di giri di accordi ripetuti allo sfinimento, in un crescendo di potenza al confine con la psichedelia. Un gran concerto ma d’altronde loro, per quanto mi riguarda, non deludono mai.

La giornata successiva la seguo sempre a spizzichi e bocconi: normalmente guardo i live del palco principale, perché gli altri sono situati all’ingresso del locale, di fronte al bancone del bar, in una zona che non è fatta per suonare, poco fruibile e di conseguenza consegnata a band che di interessante hanno ben poco.

I Cinerama si esibiscono poco prima delle 16: anche loro soggetti a mille cambi di formazione, sono ormai un mero monicker che Gedge utilizza per suonare quelle canzoni ma sul palco ci sono sempre i Wedding Present, con l’aggiunta di un ensemble allargato fatto di una tromba, un flauto, una tastiera e una seconda chitarra. Una sorta di orchestra da camera in versione rock, una complessità che meriterebbe forse più tempo di quello che, immagino, i nostri hanno impiegato per le prove. Ogni tanto il tutto suona un po’ impastato, c’è qualche imprecisione qua e là ma nel complesso, anche quest’anno è un bel set: purtroppo il tempo è poco, le canzoni che si vorrebbero sentire sono tante e a questo giro Danielle (che si occupa della setlist) privilegia alcune delle cose più conosciute, nessuna delle quali era stata suonata nelle due edizioni precedenti: da “Your Charms” a “Unzip”, da “Quick Before It Melts” alla conclusiva “Wow”, con solo una vera rarità in scaletta, la bside “Sparkle Lipstick”. Non ci sono molte alternative per vederli suonare per cui alla fine va bene così, anche se continuo a pensare che nell’arco di un anno, un set un po’ più lungo lo si possa anche mettere in piedi.

Se volete sapere qualcosa delle altre band, ho trovato molto interessanti i punk Rocker inglesi Harker, autori di una performance davvero energica e il duo Synth Pop Sink Ya Teeth, fuori contesto ma molto coinvolgente e, non l’avrei mai detto, parecchio apprezzato anche dal pubblico.

Prima degli headliner, il piatto forte della serata è stato poi rappresentato dagli Ukranians, un collettivo di musica tradizionale che, a dispetto del nome, è totalmente inglese ed è stato anzi fondato da Peter Solowka (che è comunque ucraino da parte di padre), anima dei primi Wedding Present assieme a Gedge. Assieme, le due band avevano registrato tre Peel Session nel 1989, proprio all’inizio di un importante contratto con la RCA (immaginate quanto sarà potuto durare). Recentemente queste registrazioni sono state ripubblicate e quindi è l’occasione buona per suonarle integralmente, con la partecipazione dello stesso David in un paio di brani. Concerto senza dubbio divertente e piacevole, anche se è abbastanza evidente il carattere scherzoso di tutto il progetto (che comunque, ridendo e scherzando, in Est Europa ha venduto parecchio).

Alle 20.50 precise, dopo il solito momento demenziale rappresentato dall’estrazione dei numeri della lotteria, ecco i Wedding Present di nuovo sul palco. L’inizio è particolare: si parte con “Forty-Six”, estratto da “Going, Going…”, tuttora l’ultimo album da studio del gruppo, un concept introspettivo e abbastanza complesso, che dopo essere stato proposto interamente dal vivo due anni fa, è stato raramente considerato. Poi è la volta di due strumentali, “Scotland” e “Hot Pants” (“Probabilmente è la seconda volta in assoluto che la suoniamo” ha detto Dave introducendola). In queste battute iniziali il gruppo è raggiunto dalla tastierista dei Cinerama Maria Scaroni, che parteciperà anche ad alcuni altri pezzi nel corso del live.

Non essendoci obblighi di sorta, si spazia con disinvoltura all’interno del repertorio, alternando pezzi meno conosciuti (“Crawl”, “Silver Shorts”), inni dal periodo “George Best” (“My Favourite Dress” ed “Everyone Thinks He Looks Daft”, veri e propri manifesti dell’Indie Pop Made in England), estratti dal periodo più recente (“Palisades” e la cupa e cadenzata “Interstate 5”). Del nuovo singolo viene suonato il lato B “Panama”, accompagnato da un divertente video che documenta le recente calata asiatica del gruppo.

In chiusura c’è spazio anche per due dei più begli episodi di “Seamonsters”, vale a dire “Dalliance” e “Dare”, che non avevo ancora avuto modo di sentire dal vivo; poi, prima di un’obbligata riproposizione di “Brassneck” (ovviamente avrei evitato ma qui era proprio impossibile), i cinque si congedano con “Perfect Blue”, che anticipa l’anniversario di “Take Fountain” e saluta col suo romanticismo i due futuri genitori Charles e Danielle.

I Wedding Present avranno anche poco senso nell’universo musicale odierno, saranno anacronistici e tutto quello che volete. Eppure, ancora una volta, vado via felice e non vedendo già l’ora del prossimo anno. E mi spiace, ma rispetto ai dispersivi concerti negli stadi o ai carrozzoni terribili tipo Firenze Rocks (chi mi legge sa cosa voglio dire), cento, mille volte meglio un At the Edge of the Sea qualunque. Ma ormai mi sono rassegnato: noi italiani non lo capiremo mai.

 

 

 

 


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