Cerca

logo
REVIEWSLE RECENSIONI
We All Want The Same Things
Craig Finn
2017  (Partisan Records)
AMERICANA/FOLK/COUNTRY/SONGWRITERS ROCK
7/10
all REVIEWS
07/07/2017
Craig Finn
We All Want The Same Things
E’ un disco umorale, We All Want The Same Things, in bilico fra le malinconie metropolitane rese meravigliosamente dalla foto di copertina, ma anche attraversato da energia rock

Messi in naftalina i suoi Hold Steady, il cui ultimo full lenght risale al 2014, Craig Finn sembra aver dato un’accelerata alla propria carriera solistica, sfornando il suo terzo album, che è anche il secondo negli ultimi due anni. Stiano tranquilli i fans della band originaria di Brooklyn: in attesa che gli Steady tornino in sala di registrazione, possono tranquillamente consolarsi con We All Want The Same Things, seguito superlativo del già ottimo Faith In The Future (2015). Finn dimostra per l’ennesima volta di sapersi muovere con abilità anche fuori dalle pareti della casa madre, sfoggiando un songwriting, il cui tratto obliquo e mai prevedibile, cesella dieci canzoni di rock urbano, classico nelle fondamenta, ma capace di intuizioni che lo portano lontano dalla consueta narrazione. E’ un disco umorale, We All Want The Same Things, in bilico fra le malinconie metropolitane rese meravigliosamente dalla foto di copertina, ma anche attraversato da un’energia rock che trasfigura, mitigandolo, il contenuto di liriche incentrate su relazioni affettive fondate sull’opportunismo, destinate al fallimento o incapaci di colmare il male di vivere. L’iniziale Jester & June è un gioiello compositivo di imprevedibilità, una canzone che trova la sua forza emotiva nei continui cambi di registro: un sax moribondo ad aprire le danze, la voce di Finn che sputa le parole, una a una, accordi di chitarra in minore, un drumming in mid tempo sgranato e un assolo folgorante effettato wah-wah. Una canzone che di primo acchito lascia interdetti, e che poi cresce, ascolto dopo ascolto, conquistandoci con i suoi sottintesi melodici e l’originalità dell’arrangiamento. La successiva Preludes aggancia l’ascoltatore con una tastierina lo-fi su cui si sviluppa una melodia semplice, ma irresistibile. Il beat di Ninety Bucks gira dalle parti di Willie Nile e colpisce nel segno con un icastico ritornello (Nathan, you’re my only friend) che suggella una storia d’amicizia. Il cuore del disco, God In Chicago, interrompe il filo del discorso, costruendo, attraverso poche note di pianoforte, un piccolo romanzo in musica, in cui lo spoken word di Finn ricorda la propria adolescenza vissuta a St. Paul (Minnesota), città dove il nostro è cresciuto. La liquida tristezza di Be Honest, ballata in chiave springsteeniana, chiude un disco non immediato, curato negli arrangiamenti, figlio di una ricerca melodica che si sviluppa lontano dall’ovvio, il cui valore aggiunto sono le liriche di Finn, sensibile storyteller di amori e amicizie, di nostalgici ricordi e crudele realtà, di uomini e donne che lottano, che perdono e si perdono. Cuffie sulle orecchie, booklet alla mano, un po' di pazienza e We All Want The Same Things saprà conquistarvi definitivamente. Perché in fin dei conti, tutti vogliamo le stesse cose: buona musica e parole sincere che tocchino il cuore.