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REVIEWSLE RECENSIONI
Waterslide, Diving Board, Ladder to the Sky
Porridge Radio
2022  (Secretely Canadian)
INDIE ROCK
7/10
all REVIEWS
07/06/2022
Porridge Radio
Waterslide, Diving Board, Ladder to the Sky
La mia idea è che i Porridge Radio funzionino bene a livello emozionale, scrivano cose piacevoli e di buon impatto ma che sia finita lì.

Everything Bad, il disco che ha rivelato al mondo l’esistenza dei Porridge Radio (perché il precedente Rice, Pasta and Other Fillers, risalente a quattro anni prima, era poco di più che un demo autoprodotto e non se l’era cagato nessuno) è uscito in pieno lockdown, quando ogni titolo era salutato da un misto di aspettativa e tristezza, dato che non si sapeva per quanto tempo saremmo rimasti privi di musica dal vivo.

Lo avevo ascoltato forse un po’ distrattamente, fatto sta che mentre tutti impazzivano io rimanevo un po’ freddo, convinto che questo Indie Rock chitarristico schietto e un po’ adolescenziale nell’impostazione fosse stato espresso negli ultimi anni in modo decisamente più interessante (Julien Baker o Clairo, se proprio vogliamo rimanere sulle voci femminili).

A due anni di distanza, coi concerti per il momento ripresi e la situazione pandemica almeno all’apparenza più stabile, il quartetto di Brighton torna sulle scene per dare un seguito a quell’acclamato lavoro, nella speranza di trasformare in qualcosa di più concreto l’hype che sono per il momento riusciti a generare.

Se c’è una cosa che dobbiamo riconoscere loro, è che sono una band autentica: Brighton è un centro parecchio movimentato per quanto riguarda la musica indipendente, hanno fatto tantissima gavetta suonando nei locali senza avere la minima esperienza, tutto quello che sanno l’hanno imparato sulla strada, come si dice. In più, Dana Margolin è una che scrive canzoni in camera sua, ha una dimensione molto intima nell’approccio ai pezzi, una componente di sincerità che è senza dubbio un fattore non indifferente nel successo che hanno avuto (i suoi compagni di band, scherzando, dicono che è solita piangere in doccia quando pensa alle parole dei suoi testi; caricaturale ma coglie nel segno, quando la senti cantare te ne accorgi).

Waterslide, Diving Board, Ladder to the Sky si presenta in sostanziale continuità col suo predecessore, ne amplifica i pregi ma, almeno per come la vedo io, non è in grado di azzerarne i difetti.

Il primo brano, “Back to the Radio”, che è anche il primo singolo estratto, col suo inizio chitarra e voce e il suo graduale riempimento e crescendo d’intensità, è ammantata di un’urgenza di dire e di esserci che è un po’ la cifra di tutto il disco. Linea vocale in loop, col ritornello che gira praticamente sugli stessi accordi, anche se cantato un tono sopra. Siamo a metà tra una certa irruenza hardcore e una cavalcata rock in stile Springsteen, con un refrain che bene esprime il mood liberatorio con cui i nostri hanno intenzione di condurre le danze (“So lock all the windows and shut all the doors/And get into the house and lie down on the cold, hard floor/Talk back to the radio, think loud in the car/I miss everything now, we’re worth nothing at all”).

La successiva “Trying”, dall’impostazione acustica, ricorda nell’incedere i primi Arcade Fire anche se in una versione decisamente meno sontuosa. Poi c’è “Birthday Party”, a mio parere l’episodio migliore, con Dana che ripete incessantemente “I don’t wanna be loved”, grido di sofferenza che sale  sottolineato dalla batteria, Synth minimale, chitarre un po’ più pesanti.

In generale è un disco che, nonostante non riesca a liberarsi di una certa attitudine DIY, appare tutt’altro che raffazzonato: i suoni sono spesso belli pieni, gli arrangiamenti ben congegnati, è evidente che li hanno pensati a tavolino e li hanno provati molto, sanno sempre come far funzionare la canzone e che cosa di volta in volta sia necessario all’economia del brano. Loro stessi hanno detto di essersi voluti discostare dalla classica formula “Indie Rock con le chitarre” del disco precedente e in parte è vero: siamo sempre da quelle parti ma la maggiore attenzione al riempimento e alle dinamiche rende questa nuova proposta un po’ più sofisticata. 

Quel che manca, o che comunque non si attesta su un livello eccelso, sono proprio le canzoni. Giratela come volete, ma la mia idea è che i Porridge Radio funzionino bene a livello emozionale, scrivano cose piacevoli e di buon impatto ma che sia finita lì. Proseguendo nella scaletta ci imbattiamo in ballate aperte e delicate come “Rotten” e “Flowers” (quest’ultima parte al pianoforte e beneficia di un arrangiamento orchestrale nella seconda parte), in eleganti esperimenti Lo Fi come “Jealousy”, in numeri da Alt Folk saltellante come “I Hope She’s Ok 2” e addirittura in qualche sporadico tentativo di inseguire il Pop da classifica (“The Rip”, che flirta anche un po’ con l’elettronica).

Per carità, tutto molto bello, Dana Margolin sa scrivere e i suoi compagni d’avventura sanno come starle dietro (per la cronaca, stiamo parlando di Maddie Ryall al basso, Georgie Stott alle tastiere e Sam Yardley alla batteria), il ritmo cadenzato e tastieroso di “U Can Be Happy if U Want To” è un altro significativo esempio del fatto che sanno cosa significhi essere una band.

Eppure, più l’esperienza di ascolto si ripete e più cresce la sensazione che non ci sia nulla in grado di farsi davvero ricordare in mezzo alle migliaia di ore di musica che consumiamo famelici ogni mese. Non lo so, magari il pubblico più giovane, che con loro vive le prime esperienze musicali e vedrà giocoforza intrecciarsi alcuni di questi brani con gli episodi più significativi della propria vita, non farà fatica a distinguere una canzone dall’altra e le canterà tutte a memoria durante i concerti. Io che quella fase l’ho passata da un pezzo, dico che per me sono una band come tante; questo secondo disco è buono, migliore del precedente ma non riesco ad entusiasmarmi più di tanto. A breve dovrei riuscire a vederli dal vivo, chissà che non cambi qualcosa.