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REVIEWSLE RECENSIONI
WadiruM
Studio Murena
2023  (Virgin Music Italia/RDR Mgmt)
IL DISCO DELLA SETTIMANA HIP HOP / URBAN JAZZ
8,5/10
all REVIEWS
22/05/2023
Studio Murena
WadiruM
Gli Studio Murena non sono più “cinque musicisti Jazz con un MC”, ma una band a tutti gli effetti, che coniuga il Jazz contemporaneo con la dimensione Urban, utilizzando l’elettronica come collante, ibridando il tutto in maniera fluida ed efficace.

Il secondo disco degli Studio Murena non rappresenta una vittoria per la band e per il livello qualitativo della musica italiana solo perché si tratta di un ottimo disco. Si tratta di un risultato importante e altamente significativo soprattutto perché il percorso del gruppo è partito dal basso, quasi cinque anni fa, e ha raggiunto traguardi progressivamente sempre più importanti solamente grazie al proprio valore intrinseco. Niente raccomandazioni, niente bravura nell’usare i canali social, niente primato dell’immagine sul contenuto: gli Studio Murena sono bravi e si sono fatti strada nella giungla del Music business solo e soltanto con questa freccia al proprio arco.

Li vidi per la prima volta all’edizione 2019 del Pending Lips, il concorso per act emergenti ideato da Simone Castello di Costello’s. Facevo parte della giuria speciale, quella composta principalmente da testate e radio di settore, loro vinsero e io fui tra quelli che li votarono.

Mi colpì la formula, un mix vincente di Jazz e Hip Hop che negli Stati Uniti era già stato da tempo sdoganato, ma che qui da noi suonava ancora come una bizzarria esotica per intenditori.

Erano nati pochi mesi prima di quel concorso, proprio dall’incontro di cinque jazzisti da Conservatorio e un MC di stanza a Milano, Lorenzo Carminati detto “Carma”, che in breve tempo mise le sue barre al servizio di strutture musicali che avrebbero potuto suonare anche da sole, sullo stile di realtà blasonate come Badbadnotgood.

Col tempo hanno affinato le loro possibilità, imparato ad amalgamarsi (quando li vidi per la prima volta i due elementi apparivano ancora piuttosto scollati) e si sono messi a scrivere canzoni che, oltre a colpire per il livello esecutivo, funzionavano anche come perfette hit.

Da lì in avanti è stato un continuo crescendo: dai passaggi in radio alle aperture a nomi celebri, la partecipazione al Primo maggio di Taranto e alla Notte della Taranta, il coinvolgimento nel corto “O Night Divine” diretto da Luca Guadagnino, la recording session per il nuovo album di Dardust, le esibizioni al Mi Manchi e al Mi Ami (memorabili entrambe, la prima sotto una pioggia torrenziale, la seconda all’asciutto ma in un clima polare). Nel frattempo li aveva scoperti Ghemon, che li aveva segnalati al suo grande amico Tommaso Colliva, al quale sono piaciuti talmente tanto da decidere di produrre loro il secondo disco.

 

WardruM nasce così, benedetto da un contratto discografico con Virgin Music e da uno di management con Radar, che si vanno ad affiancare al già ottimo lavoro di Simone Castello, il primo che ci ha creduto veramente, tra le principali ragioni (o forse la principale ragione) se questa band occupa il posto che occupa.

WardruM, parola che indica il deserto della Giordania e che connota un concept che parla di periferie, di sconfitte e di rivalse, è la prova provata che alla fine la qualità paga, basta avere pazienza e andare per la propria strada, noncuranti delle logiche di mercato e delle scelte al ribasso.

 

Rispetto al primo lavoro (Studio Murena, uscito a febbraio del 2021), questo sophomore rappresenta un bel passo avanti, sia dal punto di vista del suono sia da quello della scrittura. Più complesso e stratificato, il lavoro di Colliva riesce a far risaltare al meglio ogni componente, anche se ogni tanto, specie nelle parti più cariche ed energiche, si rischia un po’ di confusione e fatica ad emergere il lavoro superlativo del batterista Marco Falcon (per chi scrive l’autentico fuoriclasse del sestetto, senza ovviamente nulla togliere agli altri) che emerge molto meno rispetto a quanto fa dal vivo.

Carma è in possesso di un bel flow, sempre più al servizio delle parti strumentali; le quali, viceversa, sembrano sempre più tenere conto delle sue evoluzioni. In poche parole, gli Studio Murena non sono più “cinque musicisti Jazz con un MC”, ma una band a tutti gli effetti, che coniuga il Jazz contemporaneo con la dimensione Urban, utilizzando l’elettronica come collante (molto intelligente, da questo punto di vista, il lavoro di Giovanni Ferrazzi), ibridando il tutto in maniera fluida ed efficace. Hanno creato il progetto sull’onda di How to Pimp a Butterfly di Kendrick Lamar, cinque anni dopo si può dire che, seppure il rapper di Compton rimanga una divinità irraggiungibile, hanno realizzato qualcosa di davvero notevole, qualcosa che ancora il nostro paese non aveva visto.

 

Si potrebbe forse lavorare di più sulle voci, che a tratti tendono a coprire gli strumenti rendendo difficoltoso capire che cosa sta succedendo, e si potrebbe variare un po’ di più la formula, perché alla lunga i pezzi rischiano di avere un po’ tutti la stessa dinamica. Si tratta comunque di difetti minimi perché poi, quando si scende nel dettaglio delle singole canzoni, ci si accorge di aver davanti un disco magnifico, di quelli che senza dubbio lasceranno un segno, se tutto andrà come deve andare.

C’entrano senza dubbio le collaborazioni: a livello strumentale, Enrico Gabrielli impreziosisce una psichedelica e straniante “Psycore”, tra gli episodi più coraggiosi della scaletta, mentre Paolo Fresu contribuisce all’ottima riuscita di “Illusioni ed astrattismi”. Sul fronte voci, Laila Al Habash tira fuori un gran ritornello su “Origami”, una hit annunciata dove l’interazione con Carma è vincente, anche a livello testuale; Arya su “Specchi” convince un po’ meno ma la melodia da lei cantata è comunque efficace; Ghemon fa il minimo sindacale in “Sull’amore e altre oscure questioni” ma il brano è una vera bomba, col suo andamento sghembo ed i fraseggi tormentati delle chitarre. Il feat migliore è, per quanto mi riguarda, quello con Danno su “Marionette”, pezzo clamoroso, autenticamente esplosivo, che fonde la vecchia e la nuova scuola e le coinvolge in una riflessione sulla guerra, quella interiore e quella di fuori, i due MC perfettamente in sintonia sia nell’esecuzione sia nel giudizio espresso nelle varie barre, mix perfetto di introspezione e cattiveria.

 

Basterebbe questa, assieme alle altrettante esplosive prime tracce, “WadiruM” e “Mon Ami”, per far capire chi sono oggi gli Studio Murena. Pensavamo che l’Italia non fosse ancora pronta per loro ma forse non è così. Certo, i ragazzini continueranno a preferire Rondo e Villabanks ma è anche giusto così: la proposta del sestetto milanese è complessa, nonostante un certo grado di immediatezza, e i testi di Carma possiedono un grado di riflessività ed ermetismo che li rende comprensibili e apprezzabili solo ad ascoltatori più maturi.

Detto questo, chi va matto per i vari Kamasi Washington, Alfa Mist, Thundercat, Joe-Armon Jones e affini, non potrà non riconoscere che anche in Italia esistono artisti di questo livello.