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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
14/12/2017
L’ARTE DELLA “DE-PUNKIZZAZIONE”
Vorrei sbagliarmi, ma non credo
Vogliate prendere questa critica (in senso anche tecnico) ad una critica come proficuo scambio di opinioni fra persone che possono non avere le stesse idee.
di Stefano Galli steg-speakerscorner.blogspot.com

Vogliate prendere questa critica (in senso anche tecnico) ad una critica come proficuo scambio di opinioni fra persone che possono non avere le stesse idee.

Io leggo lui, lui probabilmente non legge me.

Stefano Bianchi (che non è Stefano Isidoro Bianchi, anch’egli giornalista musicale.) recensisce a pagina 14 di Moby Dick (supplemento culturale de Liberal) del 17 marzo 2012 l’ultimo album di The Stranglers[1] aprendo così: “Anch’io sono inciampato nel peggio del punk inglese, facendomi abbindolare da Sex Pistols, Vibrators, UK Subs, Adverts e compagnia intronata di voci, di chitarre, di tutto. Ho l’attenuante, però, di essermi rialzato quasi subito giusto il tempo di pizzicare quella collettiva, grande truffa del rock’n’roll, accorgendomi di quant’era patetica e fare un rapido dietrofront. Certi miei coetanei invece si sono goduti quell’insopportabile, fracassona, presa per i fondelli da quando è nata (1976) a quando è passata a miglior vita (1979). Non si sono mai più ripresi, poveracci” (necessita la citazione integrale del passo, in quanto essa non fornisce spazio a equivoci interpretativi).

Segue una laudatoria analisi della carriera di questi artisti, che non erano giovani nemmeno nel 1976, nuovo album (intitolato Giants) incluso.

Cosa si nota nella prosa del giornalista?

Una descrizione del suono punk come se la recensione fosse del gennaio 1977 (altrimenti cosa avrebbe potuto ascoltare?) e di una persona per lo meno prevenuta rispetto alla novità.

I gruppi elencati sono eterogenei, e per The Vibrators forse sarebbe il caso di assimilarli più a The Stranglers che non al punk puro. Gli UK Subs non sono esattamente “della prima ora”, per The Adverts sarebbero da citare per esteso alcune righe di Tim Smith[2].

Ed ecco l’ultimo elemento, in negativo: i “santi” The Clash non sono nominati.

Non capisco, quindi.

Forse John Lydon è “buono solo” con i Public Image Limited? Ma siamo ancora nel 1978.

Forse The Wire suonavano non al Roxy di Covent Garden, ma al pomeriggio da Fortnum and Mason?

Che dire di Siouxsie and the Banshees ai tempi, ancora 1977, della loro prima John Peel Session?

Per The Clash, come ben sa chi legge le mie righe, l’atteggiamento tipicamente italiano da London Calling come loro “anno zero” è una cartina tornasole della incapacità nazionale di capire la portata del punk dall’inizio giocando anche con il termine “new wave”.

Di buono e di non buono nel punk c’è stato molto, anche perché la sua scena musicale ha prodotto moltissimo, ma tirar via in questo modo non mi sembra corretto.

Anche perché Stefano Bianchi non credo abbia settant’anni (pur se giornalista professionista dal 1986).

Ah, poi chissà chi ha negli scaffali fonogrammi (oltre a quelli di The Stranglers[3], Sex Pistols, The Adverts) sia dei Suicide, sia di James Chance, sia di Marc Almond (con e senza Soft Cell), sia di Miles Davis, … - la lista è molto lunga – come fa: forse abbiamo assunto un antidoto per “riprenderci”?

David Bowie interpretava Jacques Brel ai tempi del suo alter ego Ziggy Stardust; Iggy Pop con The Stooges qualche anno prima (cum fratelli Asheton, quindi) ascoltava John Coltrane e Albert Ayler; la Techno di Detroit si fonda su Kraftwerk e Depeche Mode.

Mi sarebbe gradito conoscere l’elenco dei 100 (o giù di lì) album e/o artisti preferiti da Stefano Bianchi.

Per il resto, giudicate voi anche sulla base di un’esegesi puntuale del passo che ho citato.

 

[1] L’articolo si intitola “È sempre new l’onda degli Stranglers”.

[2] Rimando a http://www.punk77.co.uk/groups/adverts.htm.

[3] La loro fan base, i Finchley Boys, non era esattamente costituita da degli etoniani.