Volunteers è un disco epocale, su cui si sono spesi fiumi d’inchiostro e per raccontare il quale, probabilmente, non basterebbe un intero libro. Ovviamente, non è questa la sede, ma due parole è necessario spenderle, dal momento che l’album, al di là della sua incontrovertibile bellezza, ha un’importanza storica non da poco.
In primo luogo, è l’album che sancisce la centralità dei Jefferson Airplane nella scena di San Francisco, ma, al contempo, è anche quello che accentua i contrasti interni tra la visione avanguardista di Kantner e Slick e quella passatista e tradizionalista di Kaukonen e Casady, decretando, in buona sostanza l’inizio della fine di una band che starà in piedi per altri tre dischi (l’ultimo del 1989) non propriamente epocali.
Non solo. Volunteers segna un passaggio decisivo dalle astrazioni e affabulazioni psichedeliche verso un rock guerriero, militante, consapevole finalmente, di non essere solo polo di aggregazione giovanile e colonna sonora per trip lisergici, ma di avere anche la forza di veicolare pensieri, parole e concetti di rilevanza politica e sociale.
Con Volunteers, i Jefferson Airplane, grazie anche alla complicità degli amici Jerry Garcia, Stephen Stills, David Crosby e dello straordinario pianista Nicky Hopkins, sfidano apertamente il sistema, e si schierano a fianco delle frange più radicali della sinistra e del movimento studentesco.
Il nuovo inno, lo slogan di una generazione pacifista e antimilitarista, diventa proprio la title track, scritta come dura presa di posizione contro il governo degli Stati Uniti e la guerra in Vietnam. Volunteers non è solo una canzone di protesta, e sarebbe riduttivo, ma è una vera e propria chiamata a raccolta della gioventù americana, uno sprone a resistere alla politica di Nixon e a scendere in piazza per manifestare contro la guerra e dare inizio alla rivoluzione della pace.
Ci sono i volontari che partono per la guerra, che vanno a morire in una terra lontana, per ragioni che non conoscono. E poi, c’è un altro tipo di gioventù, i volontari di un’America diversa, una generazione che, come recita il testo, sta mettendoci l’anima, che non si ferma a piangere, una generazione che va alla rivoluzione, ballando per le strade. Due minuti di rock arrembante, tra chitarre in acido e il pianoforte martellante di Hopkins, sigillata dai versi: Who will take it from you/We will and who are we/We are volunteers of America! Il sogno di un mondo migliore e più giusto, che, purtroppo, non si realizzerà mai.