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REVIEWSLE RECENSIONI
27/08/2017
Temples
Volcano
Alla seconda prova in studio, i Temples, invece di riproporre una formula rivelatasi vincente, modificano l’assunto di partenza e imboccano una strada diversa

Che lo sguardo di questi quattro ragazzi inglesi originari di Kettering fosse puntato orgogliosamente versi i fasti di un lontano passato, era palese fin dalla copertina di Sun Structures, il loro disco d’esordio datato 2014, che citava smaccatamente Who's Next degli Who. In realtà, più che a Daltrey e Townsend, i Temples guardavano ai mitici anni sessanta e al movimento psychedelic pop-rock. Quell’esordio, dunque, era colmo di ammiccamenti ai Fab Four, ai Kinks, ai Pink Floyd, ai Pretty Things e a tutto il corollario di chitarre fuzz, riverberi e coretti sfiziosissimi: un disco che faceva del citazionismo qualcosa di più che un vezzo e trovava la sua forza nei continui ganci melodici che, fin dal primo ascolto, entravano in testa per rimanerci. Alla seconda prova in studio, i Temples, invece di riproporre una formula rivelatasi vincente, modificano l’assunto di partenza e imboccano una strada diversa. Via, o quasi, le chitarre, che divengono marginali nel nuovo suono, e largo uso ai synth e all’elettronica, che si impongono come elementi fondamentali di Volcano. L’inclinazione verso la psichedelia resta persistente, ma il passatismo sixties che aveva informato il precedente lavoro risulta decisamente più sfumato, e le composizioni lambiscono anche generi diversi, quali la new wave e il prog. Il disco, ovviamente, farà storcere il naso a quasi tutti coloro che avevano speso parole d’elogio per Sun Structures; eppure, nella sua eclatante diversità, Volcano regge il confronto con il suo predecessore, vincendo ai punti un ipotetico confronto in termini di originalità. Se, infatti l’esordio, pur nella sua freschezza compositiva, si trovava intrappolato in un loop di continui rimandi e paragoni, l’idea che sta alla base di Volcano risulta senz’altro più spiazzante e innovativa, dando meno punti di riferimento con il passato. Fermo restando che il punto di forza della band resta la capacità di scrivere melodie pop di immediata fruibilità, in questo sophomore c’è anche il coraggio dell’azzardo, la volontà di svoltare e spingere pericolosamente l’acceleratore verso un eccesso a tinte glamour. Non tutto è riuscito, per carità, e soprattutto la seconda parte del disco manifesta qualche debolezza di ispirazione. Eppure, dopo un primo impatto che sgomenta (non uso il termine a caso), la svolta risulta vincente. Bisogna solo sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda di un disco pieno, denso e sovrabbondante, che ostenta un suono clamorosamente kitsch e si struttura su arrangiamenti barocchi, ridondanti ed eccessivi. Alla base, però, si percepisce una consapevolezza d’intenti che trasforma il pacchiano in una plausibile filosofia psych-pop: così, canzoni come Certainty, I Wanna Be Your Mirror, Born Into The Sunset, Open Air, all’apparenza ostili ai detrattori del sintetico, grazie alla loro contagiosa allegria, finiscono per creare dipendenza. Un po’ come successe qualche anno fa con le canzoni di Oracular Spectacular degli MGMT, disco con cui Volcano trova più di un punto di contatto: non la stessa genialità, certo, ma un’esuberanza comunicativa che non può lasciare indifferenti.