Va detta una cosa, innanzitutto: in un mondo in cui il formato fisico risulta sempre più svalutato, in cui lo streaming rischia di mangiarsi tutto ciò che contribuisce ad arricchire e a definire i contenuti musicali, l’esordio in coppia di Filippo Panichi e Vittorio Nistri dovrebbe essere preso a modello da chiunque, artisti, etichette, addetti ai lavori.
Sono da sempre un fanatico del cd e proprio questo formato, negli ultimi anni, è stato progressivamente ridotto fino ad accompagnarsi a una confezione di cartone e poco altro, rendendo di fatto il più delle volte inutile l’acquisto: perché dovrei pagare quasi 20 euro per un pezzo di plastica in bustina, quando potrei ascoltarne tranquillamente il contenuto su Spotify?
Ci saranno sempre i duri e puri del “ma la musica si paga!” ma io ormai non me ne curo più: nel momento in cui un abbonamento Premium a qualunque sito di streaming mi permette l’accesso immediato a milioni di album, la cura della confezione nel prodotto fisico è divenuta non solo un gradito optional, bensì un requisito strettamente necessario.
Nistri e Panichi ci hanno quindi innanzitutto regalato un packaging di alta classe: digipack 3 ante con ricchissimo booklet, pieno di informazioni sul concept di alcuni brani, sulla strumentazione utilizzata nelle singole tracce, sui musicisti coinvolti e, soprattutto, le splendide immagini che il grafico Gabriele Menconi ha ricavato dal quadro del pittore Beppe Stasi che campeggia in copertina e dai disegni preparatori realizzati per lo stesso. Un impatto visivo potentissimo, indispensabile soprattutto nel caso di una proposta strumentale come questa, con l’ascoltatore che potrebbe avere bisogno di appigli concreti durante la fruizione.
E poi c’è una presentazione dettagliata e curatissima, che trasuda di tutto l’amore che i due autori hanno riversato in queste composizioni e la volontà di rivelarne i segreti a chiunque volesse fare lo sforzo di accostarsi a tale proposta. La quale, giusto per tranquillizzare gli interessati, non risulta particolarmente ostica, se paragonata ad altri lavori dello stesso tipo: Vittorio Nistri e Filippo Panichi hanno curriculum e storie differenti; il primo maggiormente legato al campo del rock (è stato tastierista e sperimentatore, oltre che fondatore e collaboratore di diverse band), il secondo da chitarrista è passato all’improvvisazione, tra Ambient e Drone Music, e ha realizzato già diversi lavori da solista.
L’incontro tra i due ha in qualche modo fuso le rispettive anime ed è sfociato in un lavoro che contiene una certa componente di musica “tradizionale” e una più legata all’elettronica sperimentale, tutta rigorosamente “fatta a mano”, con l’utilizzo di numerosi strumenti autocostruiti, oltre a diavolerie varie come Body patching (vari tipi di glitch realizzato a mano) e Pipistrellator (uno speciale rilevatore di ultrasuoni).
C’è poi stato il coinvolgimento di numerosi ospiti, illustri e non: Silvia Bolognesi (Art Ensemble of Chicago), Giulia Noti (già assieme a Nistri nella Deadburger Factory) alla viola, Enrico Gabrielli (Calibro 35 e diecimila altre cose, anche lui già collaboratore di Deadburger Factory) a sax e clarinetto, Pietro Horvath al violoncello ed Edoardo Baldini al trombone. Questa piccola orchestra da camera è fondamentale nell’arricchire queste composizioni e nel renderle più scorrevoli e fruibili, così che si può dire costituisca uno degli ingredienti più importanti dell’album.
Dare dei punti di riferimento non è semplice: gli stessi autori ci hanno aiutato fornendo i nomi di alcuni “spiriti-guida”, tra cui figurano numi tutelari come Egisto Macchi, Brian Eno (che in effetti ha utilizzato modalità di lavoro molto simili), Robert Wyatt, Melanie De Biasio, William Basinski, e dischi come la trilogia berlinese di Bowie, Sulle corde di Aries di Battiato e Promises di Floating Points e Pharoah Sanders.
Si tratta comunque di musica che fluisce libera, dove le numerose influenze sono state interiorizzate e “frullate” in modo tale da renderle quasi sempre irriconoscibili. In questo senso si tratta di un lavoro di ampio respiro, dove accanto alla cupezza di certi passaggi, evidentemente ispirati ai tempi difficili in cui ci troviamo a vivere, come loro stessi hanno specificato, risaltano momenti quasi luminosi, di pacifica serenità, il tutto valorizzato dall’ottimo lavoro di Giacomo Fiorenza al mix.
Inizio in punta di piedi con “Il faro di Schrödinger”, pianoforte acustico e sintetizzatori, sullo sfondo un campionamento tratto da un’opera di Penderecki, e un senso di leggero straniamento, valorizzato dall’epigrafe scelta per illustrare il brano, tratta da Il cavaliere inesistente di Calvino (“Questa è l’ora in cui si è meno sicuri dell’esistenza del mondo”). “La risacca dell’alba” è più “piena” e articolata, si sviluppa in due movimenti distinti e lascia intravedere già piacevoli inserti orchestrali, sapientemente mixati a rumori di altra provenienza (il cellophane stropicciato filtrato dagli ultrasuoni è una trovata a la Brian Eno davvero azzeccata).
Ottima anche “Maya Deren Blues”, incentrata sulla chitarra di Filippo e tra gli episodi più dinamici e accessibili del disco, mentre “Pipistrelli sul frigorifero” è prevalentemente elettronica e fa un maggior utilizzo delle percussioni.
“Secrets” è quasi un bozzetto per piano e chitarra e funge in un certo qual modo da preludio a “Sheriff in Tiraspol”, tra le più complesse del lotto, ispirata ad un reportage di Andrea Sceresini per Il Manifesto sull’omonima capitale della Transnistria (la repubblica separatista all’interno della Moldavia, autoproclamatasi nel 1990 e di fatto mai riconosciuta ufficialmente dall’Onu) tra residui sovietici, lo strapotere dell’azienda Sheriff ed un gigantesco arsenale che aleggia come una minaccia silenziosa.
E ancora, le suggestioni morriconiane de “La costante elastica” (altro masterpiece, soprattutto nella sua seconda parte, col gran lavoro dei fiati di Enrico Gabrielli ed Edoardo Baldini), il violino struggente di “Prove tecniche di solitudine”, la varietà tematica di “Giulietta sotto spirito”, che inizia con un riff in stile Goblin e prosegue in una sorta di Jazz notturno evidenziato dal sax.
Potenzialmente per tutti, a patto di volersi impegnare davvero.