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Vita sua che passando l’hai resa immortale
Intervista a Guido Harari
2019 
CARTA CANTA
all THE BOOKSTORE
25/02/2019
Intervista a Guido Harari
Vita sua che passando l’hai resa immortale
“Franz me l'aveva già anticipato, che si andava a scrivere una pagina nuova nella storia della musica italiana, qualcosa di mai tentato prima nell'asfittico e provinciale mondo della canzone italiana di allora. Era ovvio a tutti, ma non era questo il punto”. (G. Harari)

Facciamo prima a chiederci chi non ha fotografato Guido Harari. Prima per modo di dire, visto che la lista è assai lunga che non basterebbe un libro a raccontarla per bene. Ed ecco l’ennesimo capitolo che non passa inosservato, per me soprattutto. Rizzoli pubblica “Sguardi randagi”, un meraviglioso libro fotografico in cui si raccolgono i migliori scatti che Guido Harari ha fatto a e per Fabrizio De André, in quei vent’anni (circa) che uniscono assieme lo storico tour con la PFM e il futuro che noi altri, oggi, ci trasciniamo nelle tasche come reliquie, ognuno come meglio gli viene, qualcuno credendo di sentirlo ancora cantare, qualcun altro lo vedi che spolvera i cimeli pensando a quanta storia oggi viene pian piano dimenticata. E quanta storia oggi viene puntualmente offesa e chiusa dentro i cassetti. È per esorcizzare il tempo che passa e l’ignoranza che ci vendono gratuitamente alla televisione che custodisco con gelosia questo lavoro di Guido Harari. Che in esso non ci sono solo “fotografie”, tra cose preziose conosciute da pochi e cose famose arrivate all’occhio dei tutti… io invece le definirei veri e propri rapimenti: sono rapimenti di vita, rapimenti d’arte e di istanti di verità, quella verità che Harari sa come sorprenderla, come trovarla nuda e senza maschere di scena, semplice e umana al cospetto della luce che c’era. E poi dentro troveremo esaustive note a legare le immagini, brevi narrazioni come un filo neanche tanto sottile a cucire una storia di aneddoti e di curiosità, di vita privata e di momenti che hanno segnato la storia… la storia, dicevamo… che poi quando sei li raramente hai il tempo di pensare che stai per davvero scrivendo la storia. Secondo me neanche ci pensi…

“Sguardi randagi” in queste 255 pagine di bellissime fotografie e preziosi racconti, porta con se il peso inestimabile di un artista grande come Fabrizio De André e il valore eterno della vita che lo ha tenuto su questa terra. E la vita ha un valore eterno per ognuno di noi. E questo sa bene come fotografarlo Guido Harari… ogni volta che scatta, lui sa bene come fotografarlo.

Innanzi tutto, il racconto. Meraviglioso aver saputo “raccontare” attraverso queste foto preziose. Meravigliosa magia che non sempre viene celebrata, anzi... E allora per cominciare le chiedo: in particolare in questa lunga avventura con Faber, aveva già la percezione del carico emotivo di ogni foto che andava a scattare oppure se ne è reso conto in seguito, riguardando gli scatti?

Con Fabrizio, come con tanti altri personaggi che ho fotografato, non c'era tempo di pensare, di programmare, di "investire" emotivamente. Occorreva restare in ascolto per recepire qualunque segnale arrivasse. A volte ho preferito addirittura non scattare per privilegiare il momento. A posteriori certo si possono valutare più serenamente le immagini. Ovviamente il vuoto lasciato da Fabrizio influisce immensamente sulla visione delle fotografie.

Che in altre parole questa stessa domanda può voler dire: durante quel tour, quei giorni, quelle esperienze, lei sapeva di essere nel posto in cui “la storia” veniva scritta? Ogni scatto, ogni luce, ogni giorno… ne era cosciente o lo viveva come un tassello importante di una carriera pregiata?

Franz me l'aveva già anticipato, che si andava a scrivere una pagina nuova nella storia della musica italiana, qualcosa di mai tentato prima nell'asfittico e provinciale mondo della canzone italiana di allora. Era ovvio a tutti, ma non era questo il punto. C'era da parte di PFM, e di Franz Di Cioccio in particolare, la volontà precisa di realizzare in Italia un'esperienza di altissimo livello che come PFM aveva avuto modo di vivere durante i suoi tour americani. La creazione di una complicità tra artisti di esperienze diverse. Tale fu l'intensità di quel tour che Fabrizio non ha mai più abbandonato gli arrangiamenti creati da PFM per diversi suoi classici.

Quanto alle mie foto, stavo scrivendo forse più consapevolmente la mia storia. Quel tour segnò il mio primo incontro con Fabrizio, all'insegna di una cordialità e fiducia senza precedenti. Fui libero di seguire la mia ispirazione come poche altre volte, e di fissare qualunque momento senza censure né limitazioni.

Parliamo di azzardi fotografici e di sperimentazione. Si è mai concesso il lusso di trasgredire in qualche modo? Ci sono, almeno per quel che posso capirne e per quel che posso spiegarmi, scatti con particolari giochi di luci e di colori, scatti dai contorni poco abitudinari. Ma le chiedo: in qualche misura, in qualche momento, ha pensato e realizzato fotografie - come dire - non ordinarie, magari usando qualche tecnica particolare, magari avventurandosi alla ricerca di altro?

No. Vince sempre il momento. È l'attimo e l'entrare in relazione col soggetto che determina tutto il resto, almeno per me. Laurie Anderson ha definito il mio modo di fotografare come quello di un kamikaze, che si cala a testa bassa nel momento, incline all'improvvisazione piuttosto che ad una precisa strategia. È proprio così. Un azzardo continuo, ma è proprio questo che mi affascina sempre del fotografare.

E quindi a proposito di altro… ha mai avuto il bisogno di avere “altro”? Provo a spiegarmi meglio: oltre al soggetto e alle scene dei concerti e di lavoro in genere, ha mai sentito il bisogno di avere “altro”, magari una location particolare, magari luci o macchine specifiche per raggiungere altri risultati, magari per la voglia di ottenere un altro tipo di immagini?

Ho sempre sentito il bisogno di "spostarmi" altrove, inseguendo personaggi sempre diversi, non solo musicisti. E soprattutto ho coltivato la mia naturale curiosità per chiunque abbia una storia da raccontare, famoso o no. E per ogni persona nuova sul mio percorso ho immaginato di poter azzerare tutto e ripartire in nuove direzioni. Spesso è andata proprio così.

Mi incuriosisce e mi affascina molto la foto di Fabrizio sul letto: libri ovunque, una chitarra, un momento assolutamente privato. Ce lo ha raccontato nel libro ma vorrei scendere, se posso, nello specifico: com’è nato questo scatto? Lo avete deciso assieme in qualche modo?

Gliel'ho proposto io, superando un certo pudore, molti anni dopo aver "visto" quella scena nella sua casa in Sardegna. Non avevo avuto il coraggio di invadere la sua privacy con la macchina fotografica. Ho aspettato sette anni per sentirmi a mio agio nel chiedergli di fissarlo in quella dimensione così intima e raccolta. Quella delle sue notti insonni passate a leggere e scrivere. Quella da cui sono nate moltissime sue canzoni. Ora, ascoltandole, possiamo "vedere" quello che prima potevamo solo immaginare.

Che poi è inevitabile chiederle qualcosa di assai banale. Ma forse è tra le righe che vorrei spingermi e magari andare a pescare qualcosa di prezioso e di meno scontato: tra la scena e la vita privata, che differenze c’erano, di spiritualità, di emozioni… di luce? Era più facile immortalare la storia quando accadeva sul palco o quando nessuno la vedeva “sotto un albero dell’Agnata”?

Con Fabrizio si viveva il momento. Il palco rappresentava il momento meno interessante dal punto di vista fotografico, quello più scontato. Invece, in privato, si poteva cogliere un frammento di vita reale, qualcosa di autentico, anche se all'apparenza pianificato. Le foto erano il corollario di una conversazione ininterrotta e irrequieta.

E Fabrizio riguardava sempre le foto poi? Come reagiva e come lo accoglieva?

Non ricordo con che spirito le guardasse. Da un certo punto in poi ha più badato ai danni dell'età che all'estetica pura. Di qui l'uso eccessivo del filtro flou che lui stesso mi aveva imposto (all'epoca non esistevano Photoshop e neppure la fotografia digitale). Dopo il tour con PFM era rimasto colpito dal vedersi ritratto in modo così poco formale, senza riverenze. Questo ha ulteriormente consolidato la sua fiducia in me.

Restando sul tema: ha un ricordo particolare? Un rifiuto particolare? Un qualche momento discordante tra i vostri pareri?

No, mai. Ricordo la foto che non riuscimmo mai a realizzare, più per la sua pigrizia che altro. Un giorno mi provocò proponendomi di ritrarlo a mollo nel pozzo del giardino dell'Agnata, come se si trattasse di una vasca da bagno. Agli alberi avrebbe appeso un paio di quadri e posizionato dei maialini sull'erba. Troppo bella per essere vera.

Altrettanto inevitabile non chiederle: esiste qualcosa che purtroppo è andato perduto?

Ho conservato tutti i negativi e quasi tutte le diapositive originali. Un vero miracolo, considerando che spesso giornali e discografici non restituivano il pubblicato.

E se una foto è figlia di un solo istante, ne esiste una che ancora rimpiange, una foto che avrebbe potuto ma che non ha fatto in tempo a scattare?

Quella di cui sopra, quella del pozzo.

Navigando tra le immagini di questo libro mi arriva al cuore e alla mente la figura di un artista e poi quella di un uomo. Guardo negli occhi un poeta e riesco a rintracciare i contorni dell’uomo. Sono foto che oltrepassano la scena e la distanza. Sono foto che mi conducono nell’intimità di qualcuno che ho sempre visto attraverso i filtri dei media. Quindi grazie di cuore per quel che è riuscito a regalarci. Ma ora le chiedo: col senno di poi, lei che lo ha conosciuto da vicino, lo riconosce in queste foto? Oppure ha voluto solo catturare un angolo della sua personalità, del suo modo di stare al mondo?

Lo riconosco e ritrovo in tutte le mie foto, anche quelle dove, per eccesso di vanità, prova a mettersi in posa. Ho fotografato quello che ho visto, senza deviazioni o mediazioni. Magari avrei potuto fare di più, raccontare di più, insistere, ma non era nella mia natura, almeno per quanto riguarda Fabrizio, che non era certo una rockstar. In diverse mie foto ritrovo la sua dualità di figlio di famiglia borghese, ma con un'anima contadina. Un elemento importante della sua vita.

Voglio chiudere con una domanda romantica in qualche modo. Guido Harari dopo questo lungo viaggio (uno dei tanti prestigiosi che ha fatto): che artista e che uomo è diventato? In qualche modo è cambiato il suo modo di fare fotografia? Esistono segni tangibili che porterà dietro per il resto della sua carriera?

L'incontro con Fabrizio e la collaborazione ventennale di cui mi ha fatto dono sono stati tra le esperienze più importanti del mio percorso umano ed artistico. Il modo di fotografare non è cambiato, se non perché sono riuscito a vincere le esitazioni e i pudori che ho (quasi) sempre avuto con Fabrizio. Aveva il dono di farti sentire accolto e ascoltato, considerandoti al suo stesso livello e facendo crescere la tua autostima. Gli sono grato per questo, per il dono del suo pensiero, più di ogni altra cosa.