Noi lasciamo una macchia, lasciamo una traccia,
lasciamo la nostra impronta. Impurità, crudeltà,
abuso, errore.
(THE HUMAN STAIN, Philip Roth)
A darkened room-Un negozio.
David Lynch, Twin Peaks-The Return (2017); Edward Hopper, Gas (1940)
“Nell'oscurità di un futuro passato il mago desidera vedere. Non esiste che un'opportunità tra questo mondo e l'altro (…) Noi viviamo tra la gente, tu lo chiameresti un negozio conveniente. Noi ci viviamo sopra, proprio così com'è, come lo vedi tu”.
Le due parole su cui voglio soffermarmi sono: oscurità e negozio, quest’ultima nel doppio senso di trattativa e di negozio vero e proprio. A venticinque anni dallo stupefacente finale della seconda serie di Twin Peaks in cui il protagonista rimaneva imprigionato in una dimensione oscura, David Lynch torna sul luogo del delitto per scardinare i meccanismi logici della comprensione. Pure Genius[1], libero da schemi, pronto a rompere il suo giocattolo pur di mostrare come un’idea faccia parte di un’idea ancora più grande. In questo senso, nella terza serie Twin Peaks-The Return, ci mostra il fantomatico negozio citato in apertura, che richiama un sogno[2]; un edificio che rimanda alle opere di Edward Hopper, un luogo abitato da spiriti visibili anche attraverso finestre (tipiche icone del pittore). Il regista di Missoula rende spesso evidenti nelle sue opere le citazioni dalle opere di Francis Bacon e di Hopper, come emblema di due stati d’animo: disperazione e silenzio.
La stessa dimensione in cui si trova immerso il protagonista di Blemish, titletrack dell’album della svolta di David Sylvian datato 2003.
The ghosts of electricity howl in the bones of her face[3]
L’altro elemento che caratterizza l’opera di David Lynch è l’elettricità. Essa segna il passaggio tra due mondi, anche se in un’ottica diversa dal comune sentire per cui possiamo solo vivere l’esperienza di un aldiquà posto dentro ad un altro aldiquà; due realtà compresenti[4]. Cosa significa questo? Non siamo forse portati a pensare che l’alterità sia da un’altra parte? Non abbiamo più la possibilità di fuggire (materialmente o anche solo nella mente) altrove? No. Lynch e la canzone di cui voglio parlare ci dicono di no. Ogni volta che mi accingo all’ascolto di Blemish ho questa visione di una stanza buia, dove un uomo esprime un lamento:
I fall outside of her, She doesn't notice
I fall outside of her, She doesn't notice at all
Non sappiamo cosa sia successo, ma data l’atmosfera chiusa resa dai suoni non è difficile pensare che si trovi in una dimensione interiore e stia considerando la situazione. Analogamente in un’opera di David Lynch intitolata Darkened room, una donna in una stanza buia piange in modo angoscioso. La posa è molto simile a quella del dipinto di Edward Hopper in cui una donna è seduta su un letto, solo che in questo caso si delinea la possibilità di un fuori.
David Lynch, Darkened Room (2002); Edward Hopper, Morning Sun (1952)
Probabile che tra l’uomo e la donna della canzone sia avvenuto un litigio o che comunque qualcosa non stia andando per il verso giusto. Non è più tempo di Louise con il suo amante abbracciati nella stanza oppiacea di cui cantava Dylan nel 1966[5].
Edward Hopper, Excursion into Philosophy (1959) - Summer in the City (1950)
And mine is an empty bed
I think she's forgotten
And mine is an empty bed
She's forgotten I know
Nel testo della canzone di Sylvian il letto è vuoto, non così nei due dipinti di Hopper di cui sopra: ma davvero possiamo dire di avere due persone compresenti? Oppure ci troviamo all’interno del negozio lynchiano dove uno dei due è solo un fantasma?
Put the brakes on
Put the brakes on
Cos I'm fading fast
Can't find the link
Between me and her
Non riesco a trovare un collegamento tra me e lei. Sto svanendo velocemente ci dice il protagonista della canzone, chiuso nella sua stanza, come se non riuscisse a vedere oltre (l’aldiquà e l’aldiquà). Prima delle parole abbiamo i suoni che aprono l’intero album con la presenza pervasiva dei rumori elettronici in loop di Christian Fennesz[6]. Blemish inizia con un suono di sintonizzazione (elettricità lynchiana) che ci catapulta in un contesto dai margini rarefatti, in cui non è più chiaramente definito cosa sia sogno o realtà. Del resto a cosa servirebbe definire il campo? Raggiungere un accordo su chi abbia ragione o meno?
And the trouble is there's no telling
Just who's right or who's wrong
Don't tell me love is all there is
I know don't I?
Da dove sto chiamando.
David Lynch, INLAND EMPIRE (2006); Francis Bacon, Studio dal ritratto di Innocenzo X (1953)
Franz Kafka[7] sosteneva che bisogna scrivere come entrando in un tunnel oscuro, penetrando il buio, senza sapere come le figure continueranno a svilupparsi; dimensione che caratterizza tutta l’atmosfera di Blamish. Sicuramente siamo dentro a un tunnel di cui non vediamo la fine, così come non vediamo la possibilità che il rapporto tra l’uomo e la donna continui.
There's no talking to her
Talking to her
I'll keep my thoughts to myself
Unless I'm asked
Fino a che non mi verrà chiesto. In questa frase è raccolta tutta la disperazione di questa canzone. Qualcuno attende una chiamata, oppure è il suo cuore che chiama come nel titolo di una raccolta di racconti di Raymond Carver (Da dove sto chiamando, appunto), uno che con Hopper ha qualcosa da spartire: la raffigurazione di un’apparente incomunicabilità[8]. Sottolineo apparente, ricollegandomi al titolo di un libro di Antonio Spadaro, UN’Acuta sensazione d’attesa, che affronta la poetica di Raymond Carver discostandosi dal consueto giudizio di minimalismo. A mio parere questo titolo è adattabilissimo anche alle opere di Edward Hopper, troppo spesso interpretate nel segno del silenzio dettato dall’incapacità nel comunicare, così come ritengo sia la via migliore per predisporsi all’ascolto di Blemish.
“C’è sentimento in una camera vuota”. Queste sono le parole che Hopper dice a Carver nel libro SI PARLA TROPPO DI SILENZIO in cui Aldo Nove immagina di far incontrare questi due grandi artisti, parole che incarnano alla perfezione lo stato d’animo in cui ci troviamo.
“C’è molto sentimentalismo nelle cose, ma non ha bisogno di essere detto, le cose lo hanno in sé”, gli fa eco, sempre nel libro lo scrittore americano. Questa inutilità del dire, questa richiesta di silenzio è la condizione in cui si trova l’uomo della canzone per tentare di riannodare i fili di una storia.
Don't crowd me pappy
Got too much to think about
The game's not lost
If I say it's not
And it's not
Give me one more chance to do things right
E mentre l’uomo scandisce le sue riflessioni, i suoni creano un’atmosfera di sospensione che non si avvia mai a una conclusione. All’apparenza la musica sembra terminare[9], ma è solo un momento che permette alla nostra mente e al nostro corpo di prendersi un respiro, una pausa: poi l’inferno ricomincia.
All is bloated and far from youth
Il passato, questa presunta ancora di salvezza in cui la mente dell’uomo cerca di aggrapparsi; ma non è più il tempo in cui “Il sole splende in alto; i suoni delle risate; gli uccelli scendono in picchiata, sulle croci delle vecchie chiese”, un tempo in cui “diciamo di essere innamorati mentre segretamente desideriamo che piova”. L’attesa di September, opening track di the secret of the beehive, (album di Sylvian da cui Blemish è distante anni luce) è finita. Ora l’autunno delle responsabilità chiama a qualcosa di più serio del “sorseggiare coca facendo giochetti”.
In questo senso, come in un infinito gioco - Infinite Jest - di rimandi tra vari David, ci troviamo nel punto esatto delineato da David Foster Wallace quando sostiene che: “Due persone innamorate attraversano tre fasi distinte prima di arrivare a conoscersi davvero. All’inizio si raccontano aneddoti e gusti personali. Poi ciascuno dei due dice all’altro in che cosa crede. E poi ciascuno osserva la relazione che c’è fra quello in cui l’altro ha detto di credere e quello che in effetti fa.”.[10]
Ed è proprio in questa corrispondenza che Sylvian gli fa eco dalle rive di una spiaggia, sul lungomare (Waterfront) dove sempre nell’album dell’alveare cantava: “La pioggia si riversa nel mio cuore, qui i ricordi arrivano a ondate, raschiando tra i ricordi smarriti e anche se mi piacerebbe ridere di tutte le cose che mi hanno portato fino a qui, lo stigma rimane”.
Ritorniamo sempre in loop a quella stanza in cui il protagonista della canzone pare essersi rifugiato. Questa continua ripetizione di testi e di suoni che si propagano senza però aprirsi, come un’onda che ritorna da dove è venuta, è l’emblema di una dinamica interiore vicina alla riflessione di tipo orientale, direzione geografico-metafisica verso cui David Sylvian è da tempo orientato, così come David Lynch pratica la meditazione trascendentale da più di trent’anni.
Raccogliete sterpi e legateli.
Una capanna.
Scioglieteli.
Lo sterpaio di prima.
(Il libro d’ombra, Junichiro Tanizaki)
Lo scrittore giapponese ci conduce con poche righe a quella che è l’esatta dimensione di Blemish, nel suo ripetersi musicale e risponde alla concezione occidentale espressa dal Raymond Carver immaginario del libro di Aldo Nove:
“Non nella cosa in sé, ma nei gradi d’ombra e nei prodotti del chiaroscuro risiede la beltà. Chi vuole toccare con mano la beltà è condannato a dissolverla e a rovinarla” (id.).
Ecco allora che nella concezione di un album perfetto dall’inizio alla fine David Sylvian sembra incamminarsi nei gradi d’ombra di una foresta in cerca del fuoco, del fuoco interiore simboleggiato dall’ultima canzone che chiude l’album - A fire in the forest; e per come si apre questo scritto è impossibile non menzionare David Lynch e i boschi di Twin Peaks. Analogamente al protagonista della serie tv, anche l’uomo di Blemish è uscito in cerca dei dodici sicomori della foresta di Glastonbury Grove dove si trova l’ingresso della Loggia Nera. Questo mondo nel mondo, dove l’agente Dale Cooper si immergeva per andare a salvare la sua donna, luogo infernale, dove si rischia di rimanere intrappolati per sempre se non si entra con animo puro, senza colpe; ed è quello che sembra essere successo al protagonista della canzone.
Sempre nel sogno dell’episodio 8 di Twin Peaks (prima serie) si parla di un uomo che canta tra due mondi; a me piace pensare che Sylvian tuttavia, ne voglia uscire e dalle rive del lungomare dove si chiedeva se il nostro amore fosse forte abbastanza forte[11] eccolo cantare un tentativo di risalita:
There's a fire in the forest
It's taking down some trees
When things are overwhelming
I let 'em be
I would like to see you
It's lovely to see you
Come and take me somewhere
There is always sunshine
Far above the gray sky
I know that I will find it
Yes, I will try
Yes, I will try
“È questo un desiderio? Un desiderio tale da elevarci più in alto?”
(IS THIS DESIRE? PJ Harvey)
Si, ci proverò, non sarò deluso, tanto per citare un’altra song in cui queste parole ricorrono in loop: World Citizen frutto della lunga collaborazione e amicizia con Ryuichi Sakamoto, a testimoniare di come da sempre David Sylvian senta il bisogno di un costante rimando ad un Tu (vedi anche le collaborazioni con Robert Fripp e Christian Fennesz, tanto per citarne alcune).
Ogni uomo lascia una macchia scriveva Philip Roth, “è l’unico modo di esser qui”, ma a fronte del pessimismo tipico del grande scrittore americano esiste anche un modo di spegnere l’incendio che abbiamo dentro per dare corpo al nostro desiderio: bisogna entrare nella foresta con lo spirito raffigurato dalle parole di Haruki Murakami in Kafka on the shore:
“Quando la tempesta sarà finita, probabilmente non saprai neanche tu come hai fatto ad attraversarla e a uscirne vivo. Anzi, non sarai neanche sicuro se sia finita per davvero. Ma su un punto non c'è dubbio...Ed è che tu, uscito da quel vento, non sarai lo stesso che vi è entrato”.
Entrare nella foresta, dicevamo, può essere rischioso al punto di vedere il fuoco abbattere molti alberi, di non scorgere nessuna corrispondenza tra quello in cui uno sostiene di credere e quello che poi fa (Wallace): ma sopra il cielo grigio c’è sempre il sole.
Ci si può provare. “Yes I will try"
Edward Hopper, Cape Cod Morning (1950); Krzysztof Kie?lowski, La doppia vita di Veronica (1991)
Post-scriptum into a Forest
Ho pensato a lungo se inserire come link musicale l’ovvia Blemish o a Fire in the forest. Alla fine ho scelto la seconda non solo perché era il coronamento dei continui rimandi alla saga dei boschi di David Lynch a cui spesso l’articolo fa riferimento, ma anche a causa di Igor Strawinsky. Mi è venuta in mente la sua irritazione per il commento di alcune persone che dopo aver ascoltato musiche di Ludwig van Beethoven esclamavano di aver sentito i tramonti della sera, o di aver visto i paesaggi pastorali. Perciò spero che dopo l’ascolto della canzone consigliata nessuno dica di aver visto fuoco o alberi. Quanto a Blemish avrò raggiunto un esito migliore se il lettore avrà la bontà di andare a cercarla, se fermerà il suo prezioso tempo per ascoltare una song che dura quasi quattordici minuti, mentre ora, con la mia mano bruciata scrivo della natura del fuoco[12] e di queste visioni che hanno conquistato la mia mente[13].
[Editing di Ornella Genua]
[1] Riferimento ad una song di David Sylvian contenuta nell’album dal titolo molto lynchiano: Sleepwalkers.
[2] Episodio 8 della prima serie, dove in puro stile Edgar Allan Poe, la soluzione del mistero viene servita sotto gli occhi. Bisognerà attendere venticinque anni per un altro epocale episodio 8 dove molto sarà spiegato e adombrato allo stesso tempo.
[3] Scomodare Bob Dylan è sempre d’obbligo, soprattutto qui dove parlo di una stanza, forse la stessa dove alligna il fantasma di Louise, la protagonista di Vision of Johanna.
[4] Come sosteneva di percepire Philip K. Dick.
[5] Lo stesso anno del primo cortometraggio di David Lynch: Six figures getting sick.
[6] Tutto ciò potrebbe risultare gradito a David Lynch, musicista, oltre che pittore, autore della Industrial Symphony no.1
[7] Kafka è anche uno dei riferimenti principali di David Lynch, filiazione esplicitata in un frame di Twin Peaks-The Return dove alle spalle dell’agente Tammy (la cantante Chrysta Bell), si vede un dipinto con una famosa immagine/ritratto di Kafka).
[8] Da qualche parte ho letto una frase che ben si adatta allo spirito dell’articolo: “Esiste un tipo di silenzio in cui le parole non sono necessarie e che segnala non la fine, bensì l’inizio della comprensione”. Come non pensare al titolo dell’ultima opera di David Sylvian: “There is a light that enters in house wiht no other light inside”.
[9] Ne sentiamo il bisogno fisico, è normale, ma David Sylvian vuole reiterare forse per ripartire dalla cellula iniziale e andare avanti.
[10] cit. La ragazza dai capelli strani
[11] Waterfornt da The Secret of the behive (1987)
[12] cit. Gustave Flaubert
[13] Così termina l’articolo e così termina Visions of Johanna, la cui storpiatura, come suggerisce Alessandro Carrera in La voce di Bob Dylan, potrebbe anche essere Vision of the Geenna. Fire Walk with me.