Ci eravamo accorti di Vieri Cervelli Montel durante il tour estivo di Iosonouncane, quando aveva aperto in trio gli spettacoli che Jacopo Incani stava portando in giro per promuovere Ira. Pur all’interno di un live scarno dal punto di vista sonoro, le potenzialità di quello che sarebbe poi diventato I erano già in larga parte presente, cosicché quando ho avuto finalmente modo di ascoltare la versione definitiva del disco, si è trattato di una conferma per nulla inattesa.
È uno di quei rari lavori che rifugge da ogni classificazione, da ogni etichetta di genere. È ricerca pura, opera d’arte in quanto espressione di sé, del proprio vissuto, attraverso un linguaggio che mira a suscitare emozioni ma anche, soprattutto, a stimolare la consapevolezza. La consapevolezza della realtà nella sua dimensione drammatica, dei legami famigliari e affettivi come elemento costitutivo del proprio io, il tutto declinato in un percorso a tratti ostico, a tratti straordinariamente immediato, dove il suo autore si mette a nudo al di là di quello che potrebbe essere considerato necessario, per raccontare la morte del padre e di come questo avvenimento tragico abbia contribuito al suo processo di maturazione.
Un disco canonicamente organizzato per canzoni, ma che di fatto funziona come un’unica suite, un viaggio da godere nella sua interezza, senza interruzioni di sorta.
Proprio per questo assume importanza particolare la data di questa sera al Campo Teatrale, visto che si tratta della prima volta in assoluto in cui I verrà riproposto integralmente.
La location prescelta è piuttosto inusuale (personalmente è il primo concerto che vedo in questa sede) ma decisamente adatta: una sala da poche decine di spettatori, intima e raccolta, ideale per un disco che è di fatto anche un colloquio personale tra l’artista e l’ascoltatore.
La formazione è quella che ha lavorato maggiormente in studio, che più ha contribuito a fare nascere queste canzoni, con l’unica eccezione ovviamente di Jacopo Incani, che lo ha prodotto. Luca Sguera a tastiere e Synth, Nicholas Remondino alla batteria e Alessandro Mazzieri al basso elettrico, sono compagni di lunga data e affiancano lo stesso Vieri, che si divide tra chitarra classica e Synth, con qualche sporadico intervento alla tromba.
C’è un silenzio quasi irreale, un istante di sospensione in cui tutto sembra poter accadere, l’ingresso dei quattro viene accolto da un applauso timido, quasi frettoloso, come se fosse molto più urgente la voglia di stare a vedere quel che sarebbe accaduto. L’inizio, con Vieri da solo a cantare i primi versi di “Nebbia”, accompagnandosi in un secondo momento con la chitarra, è da togliere il fiato e ci prepara a quel che sarebbe seguito. “Maestrale”, che nella versione in studio era quella che più si avvicinava al songwriting di Iosonouncane, viene qui totalmente stravolta, con la tromba in primo piano e una batteria che ricama un tempo irregolare, un’impressione quasi di Free Jazz.
È in effetti uno dei punti chiave per leggere questa serata: I ha richiesto cinque anni di lavorazione e ha cambiato spesso forma man mano che i musicisti coinvolti interagivano sui pezzi. Naturale dunque intendere questo percorso come un continuo work in progress, dove la versione che è stata effettivamente pubblicata non ne costituisce la cristallizzazione, ma solo una tappa intermedia da cui è possibile muoversi verso altri lidi.
Stasera, bene o male, accade così: le parti prettamente cantautorali sono riprodotte in modo piuttosto vicino all’originale, mentre i momenti dove salgono in cattedra gli strumenti, tra improvvisazione e sperimentazione, sono quelli in cui la fantasia dei quattro musicisti ha preso il sopravvento, attraverso la dilatazione delle forme e la ricerca di soluzioni nuove. È così dunque che la lunga parte centrale di “Scale” perde il suo carattere Ambient Noise, per spostarsi più radicalmente verso il lavoro al pianoforte elettrico di Sguera, che lascia poi il posto alle evoluzioni ritmiche di Remondino.
Oppure “Stanza”, con una seconda parte insolitamente più robusta e accelerata; o ancora, il modo sorprendente in cui le tessiture elettroniche vanno ad arricchire “Primo”, che nel finale acquista inedite sfumature al confine con la Dub.
In generale l’impressione è che il quartetto abbia utilizzato ogni spazio disponibile per interpretare questo materiale da nuove angolazioni. La performance dura poco meno di un’ora (è quindi sensibilmente più lunga rispetto a quanto fissato su disco) ed è di un’intensità senza pari, con un Vieri che, soprattutto a livello vocale, appare decisamente ispirato. È tanta la tensione e la drammaticità, che nessuno fiata, tutti seguono in perfetto silenzio e se si eccettua un breve scroscio di applausi al termine di “Risveglio”, unico singolo estratto, il pubblico manifesta il proprio entusiasmo solo alla fine, quasi si trattasse di una sinfonia.
È anche il momento in cui un Vieri particolarmente emozionato prende la parola per ringraziare tutti i presenti e le persone coinvolte nella lavorazione del disco. C’è tempo per due bis, entrambi già proposti durante i live della scorsa estate: la prima è il solito tradizionale sardo con cui solevano aprire le esibizioni in trio, anche se questa versione è molto più ricca musicalmente, impreziosita da un gioco continuo di Synth e batteria veramente prodigioso. È poi la volta della rilettura di “Almeno tu nell’universo”, l’episodio con cui aveva ufficialmente esordito sul mercato discografico. Anche qui, versione un po’ più lunga del solito, sospesa e a tratti ipnotica, le linee vocali che sono solo un mero contorno rispetto al discorso sviluppato dai quattro musicisti.
Un concerto bellissimo, l’ideale consacrazione per quello che si candida indubbiamente ad essere uno dei dischi più belli del 2022, almeno in ambito italiano. Un approccio, quello di Vieri Cervelli Montel, tipico di grandi act come Notwist, Radiohead, Bon Iver o Apparat, e che in Italia è portato avanti da pochi selezionati nomi (oltre a Iosonouncane, che con Ira ha davvero portato il discorso oltre ogni limite, vengono in mente anche Mòn ed Eugenia Post Meridiem).
Speriamo che non passi troppo tempo prima di vederlo nuovamente dal vivo, magari addirittura con un nuovo disco.