Talvolta, la fortuna di una band o di un artista è legata esclusivamente al successo di una sola canzone, così bella e famosa da mettere in secondo piano un’intera carriera. Sono canzoni cannibali, che divorano il contesto e il contorno, in un processo di immedesimazione che non lascia spazio ad altro. Ad esempio: vi ricordate i The Knack per qualcosa d’altro che non sia My Sharona? Dubito. Più o meno la stessa cosa è accaduta ai Culture Club di Boy George con Do You Really Want To Hurt Me, tratto dall’album d’esordio Kissing To Be Clever (1982) e in parte con Karma Chameleon, tratta dal successivo best seller, Colour By Numbers (1983).
Canzoni riconoscibili fin dalle prime note a ogni latitudine del globo terreste, brani così iconici che nell’immaginario collettivo rappresentano un’immediata equazione con l’intera carriera dei Culture Club. E il resto? A meno che non siate fan della band, spesso e volentieri viene dimenticato. Peccato, perché di belle canzoni la band capitanata da Boy George ne ha scritte parecchie.
Prendiamo, a esempio, il citato Colour By Number, che si apre proprio con Karma Chameleon, un brano dai numeri terrificanti: numero uno negli Stati Uniti per quattro settimane, numero uno in Inghilterra per sei settimane, numero uno in altri quindici paesi del mondo e, udite udite, un milione e centomila copie vendute solo nel Regno Unito. Vendite da capogiro, insomma, che trainano tutto il disco nell’Olimpo delle vendite, facendo guadagnare ai Culture Club la bellezza di dodici dischi d’oro e venti di platino.
Colour By Numbers, però, non è solo Karma Chameleon, perché in scaletta ci sono altre bellissime canzoni, di cui non sempre, purtroppo, ci si ricorda. Le ritmiche pimpanti e l’amara riflessione sulla deriva etica dell’uomo di Mister Man, la melodia irresistibile e le spezie latino americane di It’s A Miracle e l’intensa, appassionata Black Money. Tutte passate, nel corso degli anni, in secondo piano. Soprattutto non ci si ricorda mai abbastanza di Victims, brano che sigilla il disco e, probabilmente, una delle più belle ballate del decennio.
Anima pop soul e impianto orchestrale, Victims è una disperata canzone d’amore, di quelle a cui è impossibile resistere senza sentire il groppo stringere la gola e languori malinconici accarezzare il cuore. E come spesso accade, le più riuscite canzoni d’amore hanno alla base dolore e sofferenza, l’impossibilità di vivere alla luce del sole i propri sentimenti o il tracollo emotivo causato da una rottura.
La storia che si cela dietro Victims è la stessa che ha ispirato anche altre canzoni scritte da Boy George, come a esempio la super hit Do You Really Want To Hurt Me: la liaison del cantante con il batterista della band, Jon Moss. E’ lo stesso George a raccontarlo nella sua biografia Take It Like A Man, confessando che spesso le sue liriche erano lettere aperte scritte al musicista con cui condivideva (anche) la carriera artistica. I due si amavano, ma di un amore galeotto e indicibile: Moss non aveva mai dichiarato la propria omosessualità, e si guardò bene dal farlo, visto che all’epoca era sposato con prole.
L’impossibilità di vivere apertamente la relazione faceva soffrire terribilmente Boy George, che non se ne faceva una ragione e continuava, attraverso i testi delle sue canzoni, a mandare messaggi all’amato Jon. Messaggi, peraltro, abbastanza espliciti, che se per il mondo restavano semplicemente belle liriche, per il destinatario dovevano essere veri e propri pungoli nel cuore. Boy George è la vittima destinata di un amore infelice, e nel testo lo afferma chiaramente e con un certo mal celato risentimento: “Ma tu sei sempre lì, come un fantasma nei miei sogni” e ancora “Prendi il controllo delle tue emozioni, fai un viaggio nel piacere sconosciuto”.
Liriche appassionate e tristi, che però non riuscirono a forzare la reticenza di Moss. Il quale, solo qualche anno più tardi, quando i giorni migliori dei Culture Club erano già passati, confessò agli altri componenti della band il suo amore e la sua relazione con Boy George. Meglio tardi che mai.