“Rimango intrappolato in cicli pensando se sono mai nel posto in cui dovrei essere, se sono mai chi dovrei essere, se sto facendo bene nella vita o se qualcuno lo sta facendo. Penso che questo tipo di terrore esistenziale possa riempire la mente di molte persone in questo modo di vivere moderno”. (Zak Pinchin)
“Mi sono sempre prestato alle arti che sembravano mostrare ciò che ci rende tutti umani nella nostra gloria danneggiata, o ciò che ci spinge ad essere le persone che siamo. Per me è a questo che serve la grande arte: a mostrare il mondo che conosci, ma non come lo conosci”. (Zak Pinchin)
Zak e Kel Pinchin sono due fratelli gemelli, amanti dell’arte, narratori di storie e osservatori dell’animo. Nel 2017 formano i Modern Error e per qualche anno pubblicano solo singoli, nel 2019 realizzano il primo lungo EP, Lost in the Noise, vanno in tour con i compagni Loathe... e poi arriva la pandemia. Se già lo scopo del loro progetto era creare un luogo dove far confluire riflessioni sulla condizione umana fatte di parole e suoni, l’isolamento forzato a cui sono stati costretti negli ultimi due anni non ha fatto che permettere loro (ma soprattutto a Zak, voce e penna della band) di trovare la giusta occasione per dedicarsi al gruppo e mettere nero su bianco – e note su nastro – tutto ciò che da anni avrebbero già dovuto realizzare: un album d’esordio.
Negli ultimi tempi la consapevolezza che ognuno di noi è un po’ un “errore moderno” è accentuata, soprattutto quando si vive la propria vita ai margini della distopia, sentendosi disconnessi da tutti molto più di quanto non lo si sia mai stati, nonostante le possibilità date dai social promettano una vicinanza sempre maggiore e pervasiva. Le domande che hanno portato Zak e Kel a chiamarsi Modern Error da filosofia sono diventate attualità e le riflessioni che volevano essere il cardine di un progetto artistico sono ora esperite dalle vite di un numero ancora più grande di persone: la relazione tra tecnologia e isolamento, la sensazione di separazione mentale e fisica dal resto del mondo, la curiosità sul perché la gente vive come vive e su come questo la faccia sentire per davvero.
“Usciamo dal trauma, esistiamo in sogni sommersi, dimentichiamo chi siamo, come se fosse destino. Tutto questo e per cosa? Un nuovo giorno, una nuova guerra. Prendendo più significato di quello per cui viviamo, siamo l'odio di noi stessi nel declino dello stato. Nati in cuori spezzati”. (“A Vital Sign”)
La lavorazione di Victim of a Modern Age è iniziata con la consapevole intenzione di creare un disco che fosse concreta rappresentazione del suo nome e delle persone che lo hanno scritto, una dichiarazione su come i fratelli Pinchin vedono lo stato del mondo, una provocazione che vuole spingere chi ascolta a ragionare sul modo in cui ognuno vive la propria vita. Luci e ombre, fatiche e sogni, verità e menzogne, segreti e aspirazioni, sociale e personale, pubblico e intimo.
“Splendidamente tragico. Un po' caotico. Insignificante come la polvere caduta. Non sono mai stato fatto per durare. Quindi pensa a me come alla storia”. (“Lull”)
“Lasciarsi andare. Lasciar andare. Entrando in questa nuova era, nascosto in un volto di fiore, spiraleggiando verso il nulla, ho dato tutto. Prendi la mia vita, non posso controllarla. Non c’è nessun modo di coesistere. Siamo l'errore del mondo, e abbiamo quello che ci meritiamo, aspettando di essere ascoltati o la salvezza di tornare. Collegati in un nuovo modo, ma da noi stessi ci separiamo. Cosa dovrei credere? Perché sono entrato nel sogno e sono tornato perseguitato”. (“Error of the World”)
In un unico album da 49 minuti per 14 brani vivono due anime: una prima metà che rappresenta le tentazioni illusorie della vita digitale e il vuoto esistenziale che si prova vivendola, cercando una relazione tra questa e gli assetti culturali che la società oggi ci impone; una seconda metà che prova a mettere tutto questo in discussione, ponendo un quesito su cosa significhi realtà, invitando ognuno a chiedersi qual è il motivo per cui sta vivendo.
Cosa significa per te vivere? Cosa significa per gli altri? Qual è la versione più pura di te stesso? Per cosa vivi? Per cosa soffri? A cosa aspiri? Come evolvi?
“Sotto la mia pelle, un desiderio di qualcosa di più di quello che il mondo può offrire. Se sanguino, cosa potrei essere? Diventare tutto, o niente del tutto? Perdere me stesso, cadendo dentro e fuori l'inferno. Intrappolato in questo modo di vivere. Non posso lasciarlo morire, perché sono ancora qui dentro. Sono uno schiavo dell'ignoto, senza alcuno scopo, fuggendo in nuovi prodotti chimici del mondo. Perdere te stesso, diventare invisibile. Se me ne vado, cosa potrei essere? Sperando di trovare una fine per iniziare un nuovo inizio”. (“Exit Obscured / Restricted to the Earth”)
Se a livello narrativo i Modern Error si rifanno ai temi già trattati dai grandi nomi della cinematografia, della filosofia e dell’arte, a livello sonoro accompagnano la loro dualità giocando con il concetto del “sintetico naturale” e dell’evoluzione tra due mondi. Digitale ed emotivo, tecnologico ed umano, raziocinio e istintività, sintetizzatori e chitarre, sussurri e aperture. Raffinate abrasioni e lucenti melodie, in uno spettro prismatico che non teme la possibilità di abitare più mondi.
La complessità strutturale e le soluzioni sonore di Enter Shikari e Bring Me The Horizon, la sinuosità vocale di Chino Moreno, l’oscuro e limpido gusto melodico di Deftones e Crosses, ma anche l’elettronica minimale dei Nine Inch Nails, l’emotività dei The Used e la potenza sonora di Loathe e Underoath. Un coacervo di alternative, elettronica, post-hardcore, metal-core, emo, dark-wave, synth-wave rock e industrial miscelati in un'unica soluzione, che nel giro di pochi secondi può cambiare volto, passando dal più raffinato sussurro, alla più viscerale delle aperture. Una produzione magistralmente lucidata, che oscilla tra paesaggi sonori eterei e distorsioni violente, momenti spogli e riverberati, attimi ariosi e rivelazioni oscure, dense di synth pulsanti, ritmi tesi e batterie martellanti.
Innegabilmente melodici, incredibilmente profondi, inevitabilmente intimi e intensi, sorprendentemente toccanti pur mantenendosi algidamente artistici, in una costruzione di tracce pensata appositamente per essere ascoltata come una rigida playlist: ogni canzone ha la sua collocazione specifica e ogni interludio ha la sua ragion d’essere, ripetendosi variato nella sua evoluzione e portando coscientemente l’ascoltatore da un brano ad un altro, dove ogni traccia può ospitare essa stessa più anime, per convogliare infine in un unico flusso sonoro.
Un esperienza concettuale e quasi meditativa, fatta di consistenze contrastanti, che chiede tempo per essere assimilata, goduta e apprezzata come si conviene, ma che può fluire con agio anche negli ascolti distratti.
Victim of a Modern Age è la raffinata e multiforme sintesi del nostro sentire odierno, del nostro essere animali e digitali, potenti e perduti, dei e schiavi, nella maggior parte dei casi, solo di noi stessi. Non è perfetto, ma è ambizioso e concettuale, complesso e onesto; un tangibile e coraggioso esordio per una band ancora tutta in evoluzione. E se gli inizi sono questi, non sarà altro che un piacere scoprire la vastità del possibile a cui possono giungere.