Può sembrare strano ma questo è il primo concerto di un gruppo internazionale che vedo a Rimini. Dalla chiusura dello storico Velvet, la città romagnola è stata tagliata fuori dal giro dei concerti che contano. Ci sta ora provando il Becky Bay a riportare sul posto certi eventi, per cui dopo il doppio appuntamento del mese scorso, con Idles e Murder Capital, è il turno dei Viagra Boys, di provare a ravvivare una scena musicale che, al di fuori di un circuito locale prevalentemente dedito al Roots di stampo americano, nell'ultimo periodo non ha fatto vedere nulla di significativo.
La venue, situata in uno dei bagni più noti di Igea Marina, è spazioso e accogliente, dotato di tutti i comfort e con un palco grande che garantisce ottima visibilità.
Affluenza più che soddisfacente, tanti giovani e look prevalentemente Punk, in ossequio al gruppo principale, ma anche tante persone semplicemente desiderose di godersi un po' di musica dal vivo.
Si parte poco dopo le 20 con Sillyelly, classe 2002, proveniente da una famiglia di giostrai originaria di Rimini. Ha esordito lo scorso anno ed ha all'attivo una manciata di singoli, orientati ad un Hyper Pop molto tradizionale, basi elettroniche e abbondante uso di voci filtrate. È accompagnata da un dj e di live c'è veramente molto poco, visto che anche le parti vocali sono quasi tutte già registrate. Un set che può essere anche divertente per i più giovani ma che personalmente non mi comunica nulla, scrittura derivativa ed un approccio al palco che non denota chissà quali capacità espressive. Salgono sul palco un paio di ospiti (che non ho identificato) per cantare con lei ma ad un certo punto le basi non funzionano più e bisogna interrompere. Lei rimane a chiacchierare con i ragazzi in prima fila mentre i tecnici provano a sistemare e l'impressione generale è quella di un grande nonsense, anche perché più passa il tempo e più sembra impossibile che si possa riprendere.
Bisogna darle atto di aver provato ugualmente a coinvolgere il pubblico, facendo cantare uno dei suoi brani a cappella e sembra che qualcuno lo conosca pure. Sfortunata, ma forse è meglio così.
In una serata dove le aperture non sono troppo in linea con la proposta della band principale, Vipra lo attendevo comunque con una certa curiosità. L’artista romano è uscito ad aprile con un nuovo disco, Musica dal morto, accolto con una certa indifferenza da pubblico e addetti ai lavori, come se tutto l'hype che l'ex Sxrrxwland era riuscito a suscitare col suo esordio solista del 2021, Simpatico, solare in cerca di amicizie, si fosse ormai sgonfiato.
La massiccia "Mr. Popstar" è il preludio ad un set interamente incentrato sull'ultimo disco, caratterizzato da sonorità molto più Emo Punk, che in sede live vengono ulteriormente estremizzate da una band di quattro elementi che suona sporca e potente come dev'essere.
Vipra è un frontman capace e tira dritto canzone dopo canzone, attraverso un concept a sfondo sociale, con una coscienza politica che, sebbene acerba e a tratti ingenua, riesce ugualmente a cogliere nel segno (anche solo per il fatto che si tratta di uno dei pochissimi, tra gli artisti di giovane generazione, a non trattare temi frivoli ed ego riferiti).
Il nuovo repertorio è nel complesso inferiore a quello dell'esordio ma presenta ugualmente diversi punti di interesse, con le varie "Uomini e topi", "Pugni e calci", la tiratissima "Guardami!" e la stralunata e acida "I'm just a picture on the internet but that’s ok" che coinvolgono a dovere un pubblico che, pur non essendo lì per lui, ha dimostrato ampiamente di gradire.
Nel finale tra le prime file si poga parecchio e la conclusiva “Quiet Kid", con le sue vibrazioni Hardcore, spacca come non mai.
Un ottimo live, penalizzato solo parzialmente dalla scarsa durata dovuta ai precedenti problemi tecnici.
Vipra, in conclusione, è a suo modo un unicum in un panorama italico un po' troppo appiattito sulle varie declinazioni dell'Urban e merita senza dubbio più attenzione di quella che sta al momento ricevendo. Speriamo che in futuro le cose migliorino anche se difficilmente si arriverà ai livelli di consenso della sua prima band.
I Viagra Boys arrivano sul palco preceduti da un’intro di chiaro stampo Techno, Sebastian Murphy questa volta non aspetta neanche la prima nota della prima canzone per denudarsi e mettere in mostra il solito mix di pancia da birra e tatuaggi. La partenza, come già nella data milanese dello scorso dicembre, è affidata a “Ain’t No Thief”, ritmo cadenzato e riff pesanti che sono l’ideale per scaldare il pubblico, anche se è con la successiva “Slow Learner” che si scatena davvero il finimondo.
Alla terza volta che li vedo l’effetto sorpresa è chiaramente svanito, ma è impossibile non rimanere di nuovo incantati di fronte al mix di potenza e precisione che anche questa sera mettono in mostra con straordinaria naturalezza. Al di là dell’atteggiamento scanzonato e a tratti demenziale, tra occhiali da sole indossati con esibita sfacciataggine, bottiglie di birra aperte con i denti, col contenuto ingurgitato e sputato platealmente, i calzoncini corti da tennista e le movenze da Village People del duo Oscar Carls/Elias Jungqvist, gli stage diving sulle prime file, questa è una band precisa e puntuale, che si diverte un mondo ma che esegue tutto con precisione chirurgica, senza lasciare nulla al caso. Il tutto ben sintetizzato dalla figura di Sebastian Murphy, frontman di razza che, al di là dell’approccio selvaggio alle canzoni, è dotato di una discreta tecnica vocale e non lascia mai che l’aspetto scenografico lo distragga dal lavoro meramente esecutivo (l’esatto contrario di quel che faceva a suo tempo Phil Anselmo, per citare un nome conosciuto, che metteva a ferro e fuoco il palco ma che non prendeva una nota neanche per sbaglio).
Quel che risulta vincente, della particolare formula della band svedese, è soprattutto il mix perfetto tra il Punk N’ Roll ed il Post Punk, con brani che sono quasi sempre costruiti sull’equilibrio tra le chitarre aggressive e spesso monolitiche di Linus Hillborg e il brillante lavoro di elettronica portato avanti da Elias Jungqvist (fondamentale anche alle percussioni), nonché il sax di Oscar Carls (che a tratti si inserisce come rinforzo alla chitarra), che dona un tocco irrazionalità dissonante in stile Contorsionist a brani altrimenti piuttosto lineari (molto efficace anche quando si rende protagonista di una manciata di divagazioni strumentali che fanno da utile collante tra un brano e l’altro).
Mai troppo veloci, hanno nel mid tempo la loro arma migliore e per tutti i 75 minuti del concerto non danno tregua ad un pubblico che, dal canto suo, non ha assolutamente voglia di essere calmato, vista la violenza del pogo e dalla frequenza con cui si forma il moshpit sotto al palco.
Scaletta piuttosto simile a quella del tour invernale, ancora una volta incentrata sull’ultimo Cave World, con le varie “Punk Rock Loser”, “Return to Monke”, “Troglodyte” ed una pazzesca “Baby Criminal” a costituirne l’ossatura principale. Come sempre poco valorizzato Welfare Jazz (forse perché si tratta del loro disco meno diretto e più sperimentale?), da cui viene estratta la solita, splendida “Ain’t Nice”, tenuta su da un sax veramente strepitoso.
E poi gli immancabili estratti dal debutto Street Worms, da “Just Like You” a “Down in the Basement”, da “Worms” al classicissimo “Sports” (divertente scenetta di apertura, con Murphy che dice di aver rubato il titolo a “Elly Sport, artista italiana che si è esibita prima di noi” e poi rimprovera scherzosamente il pubblico di non sapere a chi si stesse riferendo; che poi non si è capito se questa mancata comprensione fosse dipesa dal fatto che la sua esibizione fosse già stata dimenticata oppure dal fatto che il nome della ragazza non era esattamente quello…).
Non ci sono bis, ma si chiude con una lunga versione della vecchia “Research Chemicals”, impreziosita da un lungo finale strumentale, dove sassofono e sezione ritmica si sono prodotti in un pattern di ripetizione ossessiva.
Si finisce così, col pubblico che ne vorrebbe ancora, e che viene invece congedato dalle note di “Up Where We Belong”, la hit di Joe Cocker e Jennifer Warnes, la cui scelta non fa altro che confermare come a questa band piaccia giocare sul nonsense.
Grande successo per il Becky Bay e per Rimini (che, dipenderà forse dal livello delle spiagge svedesi, ma è stata definita dal gruppo addirittura un paradiso), chissà che nelle estati future la città romagnola possa divenire un’utile alternativa a Bologna ed in qualche modo rinverdire i propri fasti.