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SPEAKER'S CORNERA RUOTA LIBERA
19/12/2022
Live Report
Viagra Boys, 15/12/2022, Fabrique, Milano
Non poteva esserci modo migliore di chiudere il tour e l’anno dei concerti per i Viagra Boys, una band più complessa di quello che appare e più sofisticata di quello che lei stessa vorrebbe far credere: davanti ad un locale pieno di fan entusiasti, in un paese dove hanno da poco beneficiato di un notevole incremento di consensi.

Lo scorso anno i Viagra Boys chiudevano il loro tour europeo a Milano, con una data infuocata e stracolma di gente ai Magazzini Generali, in uno dei primissimi (e pochissimi) concerti in piedi, prima che il ritorno delle misure di sicurezza mettesse nuovamente fine a quella poca libertà che ci sembrava di aver riconquistato. Proprio per questo quel concerto ci aveva entusiasmato tanto: c’entrava la straordinaria resa live della band svedese, certo, ma ancor di più per quella spensieratezza con cui l’abbiamo vissuto.

Dodici mesi e due settimane dopo la storia si ripete. I Viagra Boys sono nuovamente all’ultima tappa del tour e di nuovo è il nostro paese ad essere stato scelto per la festa finale. Qualche cambiamento tuttavia c’è stato: c’è da suonare un nuovo disco, Cave World, e la venue è il Fabrique, che ha più del doppio della capienza rispetto al locale dell’ultima volta. Questa band sta raccogliendo consensi anche in Italia, non c’è dubbio, e la cosa resta significativa anche se un rapido sguardo ai presenti fa capire come questa non sia decisamente musica per giovani e che il ricambio generazionale nel nostro paese continuerà a rimanere un’utopia.

 

Se ad aprire il concerto dell’anno scorso c’erano le Automatic, che ci erano piaciute assai, quest’anno i nostri si sono fatti accompagnare dalle Vulkano, e le cose vanno decisamente meno bene.

Il trio di Stoccolma (basso, batteria, Synth) è in giro da dieci anni e a ottobre ha pubblicato il suo quarto disco, Fantasy vs. Reality che, almeno per quanto mi riguarda, è passato totalmente inosservato. Salgono sul palco con quaranta minuti di ritardo (dovuti probabilmente alla decisione di aspettare che il locale si riempisse. A Milano pioveva e si sa, quando vedono due gocce di pioggia gli automobilisti milanesi non sono più in grado di guidare) e dopo il primo pezzo la speranza è quella che abbiano ricevuto direttive di accorciare un po’ il set. Purtroppo così non succede e siamo costretti a sorbircele per un tempo che ci è sembrato infinitamente lungo.

Il loro è un Synth Pop accattivante e plasticoso, con le tastiere a fare la maggior parte del lavoro melodico e l’elemento ritmico che gioca un ruolo importante. La voce solista è affidata alla batterista ed è un incrocio tra una Björk ubriaca fradicia e una Teen Idol alle prese con la colonna sonora di un K Drama. Lo show di per sé è divertente e i brani provano anche ad essere accattivanti ma diciamo che, impegno e attitudine positiva a parte, i mezzi risultano davvero pochini. Alla fine, per quanto mi riguarda, si sviluppa una sorta di effetto simpatia per cui le canzoni sono talmente caricaturali da apparire, nel loro genere, dei piccoli capolavori. Da questo punto di vista “Don’t Disturb Me When I’m Chillin’”, singolo trainante del nuovo disco, è un tormentone di cui temo che difficilmente ci libereremo. Finale con la presenza di Tor Sjöden dei Viagra Boys a divertirsi con le maracas. Gruppo non indispensabile e facciamo che mi fermo qui.

 

Cave World ha senza dubbio giocato un ruolo importante nel far crescere le quotazioni della band svedese. La formula è sempre quella, ma le variazioni negli arrangiamenti e la sperimentazione di soluzioni differenti, provando cose più melodiche e contaminate col crooning, che li hanno perlomeno in parte discostati dall’aggressività degli esordi, ha senza dubbio funzionato. Non sarei in grado di dire se si tratti o meno del loro disco migliore (ne hanno fatti tre e sono tutti di livello altissimo) ma pare che loro la pensino così, se si pensa che due terzi buoni dello show sono stati dedicati a questi brani.

C’è un’intro dal sapore Lounge Jazz, giusto per preparare ironicamente la scena al macello che seguirà. In effetti quando i nostri prendono posizione e attaccano con “Ain’t No Thief”, nelle prime file si scatena immediatamente un pogo selvaggio condito da stage diving vari. “Ain’t Nice” segue a ruota ed è esattamente quello che serve per incendiare da subito l’ambiente, col suo incedere marziale e il riff granitico. Anche la successiva “Punk Rock Loser”, che gioca sul mid tempo ed è molto più ruffiana nella melodia, fa il suo nel tenere alta la tensione. Per non parlare poi di “Baby Criminal”, che apre il nuovo disco e che è probabilmente il brano più efficace che il gruppo abbia mai scritto.

 

Non è la prima volta che li vediamo dal vivo, sappiamo già che cosa aspettarci ma in un certo senso è sempre una sorpresa vederli in azione. Il modo con cui aggrediscono il pezzo è selvaggio ma allo stesso tempo razionale, col sax di Oscar Carls (musicista preparatissimo, come abbiamo avuto modo di constatare durante una splendida improvvisazione sul finale di “Big Boy”) a sottolineare la sfuriata delle ritmiche ed Elias Junqqvist (col suo solito scenografico cappello da cowboy) che tra tastiere ed elettronica dona un vestito a tratti elegante e a tratti straniante a queste canzoni. Per cui sarebbe un errore considerare i Viagra Boys un semplice gruppo che spacca e fa casino sul palco. C’è l’elemento Punk, c’è ovviamente quello Post Punk, ma c’è anche tanta altra roba, un’anima Blues e Rock and Roll che in questo ultimo disco è venuta fuori decisamente di più. Non a caso ne vengono proposti anche episodi meno diretti (cosa che non era avvenuta nel tour di Welfare Jazz, che era stato valorizzato solo nei suoi elementi più lineari e aggressivi), come la già citata “Big Boy”, che potrebbe anche essere uscita dalla penna del Tom Waits più trasandato e rumorista, o una “Creepy Crawlers” che gioca molto sullo spoken word e sull’uso avanguardistico del sax misto all’elettronica. È bellissima anche “The Cognitive Trade-Off Hypothesis”, una delle cose meno prevedibili, ciononostante ben inserita nell’economia dello show.

È dunque una band più complessa di quello che appare, più sofisticata di quello che lei stessa vorrebbe far credere. Tra l’attitudine a tratti demenziale che hanno sul palco (gli shorts cortissimi con cui Oscar Carls ha fatto tutto il concerto ne sono un esempio inequivocabile) e le cazzate nonsense che Sebastian Murphy si diverte a sparare tra un pezzo e l’altro (esilarante quella per cui, dopo una giovinezza all’insegna dello sport agonistico, avrebbe scoperto la droga e si sarebbe messo a prostituirsi nei parchi per pagarsi le dosi di crack), si potrebbe ricavare l’impressione fuorviante che siano una band che si prende poco sul serio. Niente di più falso. Certo, il frontman si denuda a metà del primo pezzo e mette in mostra orgogliosamente il suo fisico da bevitore (oltre agli innumerevoli tatuaggi che gli ricoprono il corpo), è istrionico nel modo di tenere il palco ma per il resto canta con precisione e tira le fila di un ensemble preparato, che sfodera una prestazione precisa e senza sbavature.

 

Nel finale, dopo il solito divertente e irresistibile mid tempo di “Sports”, si divertono con una versione fiume di “Shrimp Shack”, dove tra soli di sax e tentativi di improvvisazione operistica, reiterano all’infinito il tema portante, variando di volta in volta il tiro e la dinamica in modo da rendere il tutto più interessante.

Nei bis arriva “Return To Monke”, ed è un’ulteriore prova di come anche gli episodi meno canonici di Cave World funzionino bene dal vivo. Poi la cupa litania di “Worms” e, a chiudere il tutto, una versione devastante della vecchia "Research Chemicals", anche questa tirata avanti un bel po’, batteria e basso che spingono, tastiere e sax a ricamare il tema principale svettando sulle chitarre.

Non poteva esserci modo migliore di chiudere il tour e l’anno dei concerti per i Viagra Boys, davanti ad un locale pieno di fan entusiasti, in un paese dove hanno da poco beneficiato di un notevole incremento di consensi. D’altronde le potenzialità per arrivare in alto le hanno eccome; non ci stupiremmo, in un futuro non troppo lontano, se li vedessimo arrivati ad un ulteriore livello di popolarità.

 

Photo credits: Laura Floreani