Pubblicato nel 1908, ma composto tra il 1902 e il 1907, pone al centro della vicenda la figura di un giovane musicista aristocratico viennese, Georg von Wergenthin, tutto concentrato sulla sua musica e le sue velleità di carriera. Georg si innamora di una cantante agli esordi, la giovane Anna Rosner, di estrazione piccolo-borghese e intraprende con lei una relazione. Anna però rimane incinta e, a questo punto, il musicista si trova costretto ad impegnarsi seriamente con lei, ma senza esserne davvero convinto. Vede questa decisione come una profonda limitazione per cui, nel momento in cui Anna partorisce un bimbo morto, vede in questo fatto un segno del destino che gli spalanca la porta verso la libertà, e abbandona l’amante.
La vicenda sentimentale è l’occasione per Schnitzler di descrivere il declino della società asburgica, in particolare della borghesia viennese, ormai fossilizzatasi e incapace di stare al passo con le trasformazioni sociali e politiche in atto in tutta Europa alla fine dell’800.
Georg è, in realtà, il tipico giovane viziato, dotato di talento musicale ma non di sufficiente volontà per metterlo in pratica; non si dedica alla musica che “a parole”, nascondendo la sua inerzia dietro roboanti teorie filosofiche opportunamente fraintese e adattate al suo modo di vivere: “Soltanto le buone occasioni perdute ci lasciano ricordi privi di amarezza”.
Accanto a Anna e Georg gravitano altri personaggi, tutti con il medesimo desiderio di una libertà che, di fatto, è un forma di paura mista ad egoismo; tutti, infatti, cercano di realizzare i propri desideri, tra meschinità, sotterfugi, menzogne dette prima di tutto a se stessi, gelosie professionali, sentimentali, artistiche. È, la loro, la ricerca di una libertà dall’altro, dell’assenza di vincoli e responsabilità verso il prossimo, che sia un amante o un parente, o un amico, o un collaboratore. I rapporti ne vengono inevitabilmente compromessi e sembra non esserci spazio alcuno per la sincerità e la condivisione di qualsiasi sentimento o esperienza, se non da un punto di vista formale, di mera facciata.
Siamo di fronte all’inetto che Svevo rappresenterà pochi anni dopo nei suoi romanzi, che risentono dell’influenza della psicoanalisi di Freud proprio come quelli di Schnitzler (è noto che questi ebbe rapporti epistolari con Freud anche se lo scienziato non volle mai approfondire la conoscenza con lo scrittore, colpito dalla sua capacità di pervenire con l’intuito a conclusioni che a lui, Freud, erano costate anni di ricerche e studi).
Georg non solo non fa niente per affrontare i problemi o le scelte della sua vita quotidiana, ma non si rende conto, non vuole rendersi conto, di quanto accade intorno a lui sia nella sua cerchia di affetti e amicizie che, a maggior ragione, nel contesto politico e sociale più ampio.
È il caso, per esempio, dei primi echi antisemiti che fanno la loro comparsa e vengono puntualmente ignorati. È il caso di Berthold Stauber, ebreo dalle idee socialiste, nell’egoismo delle proprie convinzioni asserisce l’importanza di una sorta di “igiene sociale” che dovrebbe servire a migliorare la società e ad assicurare un maggiore benessere, senza poter nemmeno lontanamente immaginare quello che di lì a poco questo tipo di idee, coniugate con la follia nazista, avrebbero comportato. Dalla parte opposta, invece, Heinrich Bermann, scrittore, prefigura l’orrore dello sterminio ma anch’egli non reagisce. In tutti questi personaggi non c’è mancanza di sensibilità o indifferenza, ma piuttosto c’è incapacità ad operare scelte, come se preferissero lasciarsi andare agli eventi, farsi travolgere dalla storia, in una ignavia mentale che fa aleggiare su tutti un senso di disfacimento e di sconfitta.
Ed ecco allora il miraggio della libertà che poi si traduce semplicemente nella fuga, nel rimandare le proprie decisioni, le proprie azioni, in attesa che sia il destino a farlo per loro: “È una grande fortuna che in certi momenti non ci rendiamo esattamente conto di quanto ci accade; se capissimo subito quanto sia spaventoso, così come quando più tardi lo ricorderemo, o quando, prima, ne siamo in attesa, non potremmo sopportarlo senza impazzire”.
Un’atmosfera di disfacimento, dunque, l’affresco della Vienna dell’800 e delle sue contraddizioni, un romanzo in cui storia, vita, sogni e realtà si intrecciano e sembrano però non procedere mai paralleli.
Tutto sommato, il romanzo mette in scena attraverso i protagonisti una delle paure più grandi dell’uomo di ogni epoca, la paura di sbagliare, e, di fronte ad essa non resta che il “non agire”, in un mondo in cui assumersi una qualsiasi responsabilità è sentito come il rischio più grande: “Niente rende l’esistenza più difficile che prendere tanto spesso ogni cosa come definitiva […] e perdere tempo a vergognarci di un errore, invece di riconoscerlo francamente e imprimere una svolta alla nostra vita”.