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REVIEWSLE RECENSIONI
07/07/2022
Horsegirl
Versions of Modern Performance
“I ragazzini riporteranno indietro il Punk Rock” hanno detto recentemente. E probabilmente, nonostante tutte le elucubrazioni che si possano fare, le cose funzionano ancora così: si cresce ascoltando un certo genere di musica, ci si appassiona ad esso, e poi si mette su una band con gli amici. "Versions of Modern Performance" delle Horsegirl è uno di quei dischi che farà la felicità di quel target di ascoltatori che hanno lasciato il cuore ai primi anni Duemila.

“I ragazzini riporteranno indietro il Punk Rock” hanno detto recentemente. E probabilmente, nonostante tutte le elucubrazioni che si possano fare, le cose funzionano ancora così: si cresce ascoltando un certo genere di musica, ci si appassiona ad esso, e poi si mette su una band con gli amici.  

Le Horsegirl, dunque, sono solo l’ultimo esempio di musicisti giovani che suonano musica per vecchi.

 

Penelope Lowenstein (voce, chitarra), Nora Cheng (voce, chitarra) e Gigi Reece (batteria) sono di Chicago, hanno 17-18, le ultime due fanno il College a New York, la prima studia ancora al liceo e ha dovuto chiedere un permesso speciale quando, a marzo, il trio si è imbarcato in una serie di date negli Stati Uniti. “Quando ho detto ai miei insegnanti che suonavo in una band - ha raccontato divertita la Lowenstein - si sono meravigliati perché esteriormente non sembro proprio il tipo, ma non hanno comunque fatto storie e mi hanno lasciato andare.”. 

Giovanissime, appunto, ma quando parlano dei loro gusti musicali, la storia si ripete: Gang Of Four, Sonic Youth, Stereolab, tutta la scena della Flying Nun... quasi a dar ragione a coloro che si ostinano a ripetere ogni due per tre che i gruppi “del passato” hanno sempre e comunque una marcia in più. 

Si sono conosciute nel 2018 (se lo ricordano perché è lo stesso anno di Wide Awake! dei Parquet Courts, un disco che tutte e tre stavano ascoltando tantissimo in quel periodo) e con il singolo “Ballroom Dance Scene”, uscito nel 2020, hanno suscitato l'attenzione degli addetti ai lavori. 

 

Nel frattempo è arrivata la pandemia e si sono ritrovate giocoforza a passare tanto tempo assieme, visto che seguivano le lezioni a distanza a casa di una delle tre. È quello il periodo in cui sono nate le canzoni di Versions of Modern Performance e in cui hanno ottenuto un prestigioso deal con la Matador, che loro hanno definito l'etichetta dei loro sogni. 

E ascoltandole si capisce perché i tipi di New York abbiano deciso di puntare sul trio: le Horsegirl fanno esattamente quello che ci si aspetterebbe da un'artista di questo roster, ovvero un Indie Rock intenso e minimale, con una componente DIY decisamente spiccata. 

Hanno registrato a Chicago, all'Electrical Audio di proprietà di Steve Albini, sotto la supervisione di Jon Agnello (Breeders, Mark Lanegan, Dinosaur Jr, solo per citarne alcuni) e già solo i nomi coinvolti fanno capire quanto l'etichetta puntasse su di loro. 

Oltretutto, a ricongiungere fisicamente le due dimensioni, tradizione e contemporaneità, in due brani del disco (“Billy” e “Beautiful Song”) compaiono Lee Ranaldo e Steve Shelley dei Sonic Youth e non dobbiamo fare troppi sforzi per immaginare la contentezza di queste tre ragazze ad avere i loro idoli a suonare sui loro brani. 

 

L’impronta generale è grezza, talora al confine con il Lo Fi, si punta molto sul gioco di chitarre, spesso piacevolmente sgraziate, con una grande attenzione alle parti strumentali, a prescindere dagli interludi presenti tra le varie canzoni. 

L’iniziale “Anti-glory”, una bella cavalcata Post Punk ricca di dinamica, con un break centrale molto efficace, è anche il brano migliore del lavoro e per un attimo ci fa illudere sul reale valore dello stesso. Non che il resto delle tracce siano brutte, peraltro: “Beautiful Song”, dalle reminiscenze Wave a ricordare le Warpaint, “Dirtbag Transformation”, più ironica e sbarazzina, sulla scia dei Pavement o, se vogliamo citare una declinazione recente, i Porridge Radio. Poi “The Fall of Horsegirl”, la traccia più cupa del disco, dall'incedere lento e con le chitarre che lacerano in profondità; o ancora “Option 8”, che è tra le più immediate, un Indie Punk anthemico che ricorda vagamente i DIIV. Qua e là emergono anche tracce di Shoegaze, come nell'ipnotica “Live and Ski”, in “Billy” o in “World of P”. 

 

Un lavoro piacevole e soprattutto eterogeneo, sicuramente molto di più di altri dischi recenti appartenenti alla stessa area tematica. 

Difficile, ora come ora, dire se le Horsegirl si porranno come punto di riferimento di questa nuova scena chitarristica. Di sicuro c’è che Versions of Modern Performance è uno di quei dischi che farà la felicità di quel target di ascoltatori che hanno lasciato il cuore ai primi anni Duemila.