Siamo tra il '33 e il '34 con Hemingway impegnato in battute di caccia grossa, il libro è il tentativo di vedere "se il profilo di una regione e l'esempio di un mese di vita descritti con fedeltà possano competere con un'opera di fantasia", parole queste che lo stesso scrittore mise come avvertenza in principio del suo libro. L'esito di questo esperimento fu accolto dalla critica dell'epoca con molta freddezza se non addirittura con recensioni avverse che demolivano oltre al contenuto considerato di scarso interesse, anche lo stile dell'autore in precedenza elogiato come uno dei più significativi esempi di scrittura della moderna generazione di narratori americani. In realtà dietro questa acredine, assodato col tempo che il libro è tutt'altro che disprezzabile, si celava un po' l'avversione che per vari motivi la figura dell'Ernest Hemingway uomo si era creata nel corso degli anni precedenti l'uscita di Verdi colline d'Africa. Intanto in diversi suoi scritti, come accade anche in questo, Hemingway non risparmiava commenti a volte tutt'altro che lusinghieri su colleghi scrittori, anche apprezzati dai critici, passando un po' per arrogante e inimicandosi parte dell'ambiente letterario americano, la stessa figura del critico non fu trattata dallo scrittore propriamente con i guanti di velluto, Hemingway non aveva peli sulla lingua, cosa che probabilmente gli valse critiche talvolta più severe di quel che l'effettivo valore dell'opera, pur non essendo collocabile al suo apice produttivo, meritasse. Inoltre il "disimpegno" di Hemingway, che negli anni successivi alla Grande Depressione si sollazzava tra vita mondana, party, uscite di pesca e safari in Africa, non era proprio benvisto dai critici più vicini alla sinistra, mentre la parte avversa non apprezzò alcuni dei contenuti presenti in Addio alle armi. Insomma, Hemingway se ne infischiava e procedeva per la sua strada.
Ammetto che qualche dubbio sul reale interesse che un libro come questo potesse suscitare lo nutrivo anche io, in fin dei conti non ho simpatia per la caccia, non sono particolarmente attratto dal continente nero e nemmeno dal tipo di narrazione cronachistica che mi si parava di fronte; nell'ottica di approfondire i grandi autori della letteratura americana mi sono comunque approcciato alla lettura di Verdi colline d'Africa. A lettura ultimata si può dire come la piccola scommessa di Hemingway sia stata vinta, il libro presenta più di un passaggio appassionante e tra questi ci sono proprio le descrizioni delle battute di caccia, vive anche di altri momenti più brevi ma egualmente sfiziosi dove Hemingway si concede delle digressioni riportando le sue conversazioni a tema letterario avute con la moglie Pauline Pfeiffer (o P.V.M. o Povera Vecchia Mamma o Mama per gli indigeni) e con il compagno d'avventura Jackson Phillips o con il cacciatore austriaco Kandinsky. In più il libro ha un discreto valore naturalistico, almeno per i meno esperti in materia, suscita la curiosità di andare a informarsi sulle zone più lussureggianti per vegetazione di quella parte d'Africa che sta tra la Tanzania e il Kenya o su cosa sia di preciso un kudù o come si presenti la razza delle antilopi nere. La narrazione si concentra sulla mera cronaca delle giornate di caccia con la ridda di sentimenti che da essa scaturiscono: la gioia nell'abitare seppur temporaneamente un paese meraviglioso, ancora non contaminato dall'uomo, tema caro allo scrittore che vede nell'America un paese ormai corrotto dall'opera dei suoi abitanti, la frustrazione per tutte le giornate storte e le occasioni mancate, l'invidia e il malumore di fronte alle splendide prede conquistate da altri cacciatori, in particolare Karl, peraltro ottimo uomo e amico di Hemingway, la soddisfazione per le proprie vittorie, la fatica e un certo senso d'onore verso le prede: cacciare solo maschi adulti, uccidere al primo colpo evitando di far soffrire l'animale, nutrirsi della carne di ciò che si è cacciato. Interessanti anche le descrizioni degli indigeni, con opinioni che variano dalla grande ammirazioni per i nobili guerrieri masai fino al disprezzo per qualche cialtrone locale ormai troppo abituato all'uomo bianco.
Seppure la scrittura di Hemingway in Verdi colline d'Africa non eguagli la potenza che lo stesso esprimeva ad esempio in Addio alle armi, che peraltro trattava di ben altre tematiche, si può dire che il libro fu ingiustamente bistrattato dalla critica, rimane un ottimo romanzo di viaggio, un diario appassionante di situazioni che pur non avendo un interesse universale hanno la capacità di catturare l'attenzione e avvincere il lettore, in fondo proprio la buona riuscita della sua scrittura, la ricerca su forma e linguaggio, è sempre stata uno dei crucci di Hemingway che da questo punto di vista, anche in quest'occasione, non si può dire che abbia sbagliato il colpo.