Ho una foto di mia figlia da piccola che, con addosso un paio di cuffie Sennheiser indiscutibilmente oversize rispetto alla sua testa, manovra la modulation wheel del mio Microkorg con la mano sinistra, mentre con l’altra schiaccia qualche tasto a caso, né più né meno di quello che da giovane facevo io quando mi atteggiavo a Boosta dei Subsonica, ma prima di Boosta dei Subsonica e penalizzato dall’assenza di un supporto a molle per la mia strumentazione. L’ho scattata qualche mese dopo l’uscita di Socialismo Tascabile degli Offlaga Disco Pax. Mi aveva colpito l’immagine della copertina del disco, e quel giorno in cui mia figlia mi aveva sorpreso mostrandosi interessata a seguire le orme del papà (cosa da cui ha desistito immediatamente per coltivare passioni che fortunatamente hanno richiesto investimenti meno impegnativi in termini di equipaggiamento) non mi ero lasciato scappare l’occasione di accendere il synth, metterglielo davanti e immortalare l'irripetibilità del momento.
Credo che in quel sabato mattina sia andata poi di lusso quasi a tutti. Mia figlia ora ha ventun anni e si sta godendo la libertà di studiare all’estero, almeno per il periodo dell’Erasmus. Io scrivo recensioni di dischi e musica (per la gloria, ça va sans dire) per una webzine tutto sommato genuina e con una sua dignità, grazie alla quale ho intervistato persino Max Collini, che da tempo condivide con Paola Egonu il mio personalissimo pantheon di figure per le quali nutro una smodata stima.
Gli Offlaga Disco Pax, dieci anni dopo la dolorosa scomparsa di Enrico Fontanelli (fotografo e zio della bambina in copertina nelle prime tre edizioni del disco nonché padre della protagonista dell’ultima) si sono temporaneamente ricostituiti per un tour celebrativo dei vent’anni dall’uscita dell’album d'esordio che, ad oggi, ha doppiato le date con cui era stato inizialmente organizzato e vanta diversi sold out in location da mille posti, quelle che organizzano concerti che viene gente anche da fuori a vederli.
“Devo ammettere che abbiamo sottovalutato l’affetto che ci circonda”, esordisce Max Collini, raggiunto al telefono. “L’idea è stata mia e quando ho proposto a Daniele Carretti questa iniziativa per i vent’anni ha accettato con entusiasmo. Ci siamo così rivolti alla nostra agenzia storica - Lorenzo Bedini di Antenna Music Factory, la stessa che ha gestito tutta l’attività live degli ODP dai primissimi concerti sino allo scioglimento - il quale ci ha sorpreso proponendo locali con una capienza ben distante dai numeri che avevamo raggiunto nell’ultimo tour”.
La scommessa sul successo dell’iniziativa è stata così vinta dagli organizzatori. “Lorenzo si è mostrato certo sul fatto che i biglietti sarebbero stati presi d’assalto nel giro di pochissimo”, aggiunge Max. “Lato mio c’era il desiderio di suonare dal vivo di nuovo quelle canzoni, anche solo come celebrazione di quello che era stato, senza particolari ambizioni. Pensavamo di ritrovare un po’ degli amici che ci seguivano all’epoca ma probabilmente non ho tenuto conto di quello che è accaduto intorno a noi negli ultimi dieci anni”.
Nel frattempo è cambiato tutto. Del socialismo in espansione come l’universo, già in piena contrazione nel 2005, non si percepisce nemmeno più l’eco del big bang da cui è scaturito. Il match contro i vetero-sensibilisti che perdevamo due a zero è stato annullato per manifesta incapacità dell’avversario (cioè noi) e della Golf, oggi, è presente sul mercato persino un modello ibrido. Ma non è difficile immaginare chi sarà presente in prima fila.
“Non sappiamo chi si sia precipitato ad assicurarsi i biglietti”, sottolinea Max. “Forse la vecchia guardia, o forse le generazioni che non ci hanno incrociato perché ai tempi troppo giovani”. L’ultimo concerto degli Offlaga risale a settembre 2013, da allora sono trascorsi dodici anni. “Nel frattempo ci siamo trasferiti sulle principali piattaforme di musica liquida e le nostre canzoni possono essere rintracciate in ogni modo. Per questo credo che troveremo un pubblico eterogeneo. Ci sono ragazzini che vanno a vedere i Diaframma per il tour dei quarant’anni di Siberia, un disco che è uscito quando non erano nati nemmeno i loro genitori. Non so veramente cosa aspettarmi, te lo saprò dire quando inizieremo i concerti”.
Tra quelli che sono riusciti ad accaparrarsi due biglietti della prima data ai Magazzini Generali di Milano ci sono anch’io, alle soglie dei sessant’anni, ma sono sicuro che non sarò il più vecchio del locale. Anch’io, come Max, ho fatto l’esame di seconda elementare nel 1975. Ho avuto così la fortuna di vederli più volte dal vivo, lungo i tour promozionali dei loro tre dischi. Gli aspetti che da subito mi hanno colpito dei loro live sono la sicurezza e la precisione con cui Collini riesce a seguire la struttura dei pezzi nonostante la formula spoken word dei testi. Finché canti, andare a tempo e riuscire a rispettare, con una melodia, strofe e ritornello è tutto sommato semplice. Per i testi declamati cambia tutto. Nel caso degli Offlaga la differenza la facevano lo stile e la strumentazione di Enrico Fontanelli e Daniele Carretti, composta da sintetizzatori, drum machine ed effetti manovrati dal vivo, oltre a basso e chitarra. L’assenza di basi (e la conseguente maggiore libertà sul palco) in brani che altre band farcirebbero di sample e tracce daw pre-registrate è l’altro fattore che li ha resi unici.
“Abbiamo ripreso a suonare con un terzo musicista, Mattia Ferrarini, e a provare i pezzi a metà novembre”, chiarisce Max. “Quella di Mattia è stata una scelta abbastanza naturale. È uno di noi, appartiene al mondo musicale di Reggio Emilia, e ha suonato in alcuni gruppi che conosciamo. Non ha un passato né un profilo da session-man. Con lui condividiamo diverse passioni e somiglia molto a come eravamo noi quando abbiamo iniziato e quando abbiamo registrato Socialismo Tascabile. Nessuno degli Offlaga era un virtuoso, pensavamo di avere delle cose da dire e cercavamo di farlo nel miglior modo possibile, secondo le nostre capacità”.
E quando chioso sul fatto che per suonare certi pezzi occorre anche essere fedeli alla linea, Max non ha dubbi. “Mattia è una persona con la stessa nostra sensibilità. Non è stato sottoposto a uno screen per identificare la sua posizione politica, cosa vota e cosa pensa. Ma per come suona, per le cose che gli piacciono e per gli ascolti che ha, pensare che non sia un uomo profondamente progressista, libertario, di sinistra, democratico e antifascista è impossibile. Non si può suonare e ascoltare il nostro repertorio, o vivere come Mattia vive la sua vita di musicista, e votare Fratelli d'Italia. È inconcepibile. Non riesco a immaginarlo. La sintonia è umana, prima di tutto. Noi cercavamo una persona che potesse farci sentire a casa. Saremmo potuti ricorrere a un professionista qualificato, magari con tempi tecnici più veloci, e magari avremmo lavorato meno. Probabilmente nel giro di due settimane avremmo riarrangiato e sistemato tutto con una certezza superiore del risultato, ma non era quello che cercavamo”.
E anche se provare con un altro musicista che non fosse Enrico, nel ruolo di chi si deve occupare di cose così complicate che, a detta di Collini, nemmeno Enrico stesso, a volte, sapeva spiegare come facesse, non è stata un’operazione immediata, i risultati non sono tardati. “L’unico obiettivo che avevo era di conferire la giusta dignità ai pezzi e prepararli in modo adeguato”, sottolinea Max, “evitando di proporli in una veste o una produzione non convincente o non consona rispetto alla nostra storia, in linea con quello che siamo sempre stati: un gruppo rigoroso, in grado di portare sul palco sempre il miglior concerto possibile. La prima cosa che abbiamo detto nel momento in cui abbiamo rimesso insieme la band è stata di metterci in condizione di non arrivare alle prime date impreparati o non convinti di quello che stavamo facendo”.
Nel frattempo, altre cose sono cambiate, e non solo per i fan degli Offlaga. “Com’è suonare al tempo di Giorgia Meloni? Non ne ho idea”, ammette Max. “Noi siamo una cosa talmente differente da ciò che rappresentano la politica e la società oggi da risultare una bolla, al di fuori del paese reale, nella sua complessità. Quello che spero è che gli Offlaga e chi li segue siano una sorta di virus in grado di mettere in qualche modo in discussione lo stato di cose esistente”.
Se, come me, di quella bolla avete un abbonamento a vita, anche solo honoris causa, avrete assistito al culto di cui le canzoni degli ODP sono state oggetto sui social da quando i social si sono diffusi. Pochi artisti, in Italia, possono vantare versi così efficaci da entrare nell'uso comune e alimentare citazioni o meme. A me vengono in mente Elio (per ragioni diametralmente opposte), i CCCP, Calcutta e Max Collini. Parole ricche di situazionismo poetico, in grado di cristallizzare eventi e attitudini. Questo significa cogliere nel segno e penetrare nella cultura.
“Negli otto anni e mezzo in cui siamo stati sulla scena abbiamo dato voce a una nicchia”, continua Max. “Negli anni zero, quando facevi cinquecento persone a Bologna eri già un fenomeno di tutto rispetto. Questo prima di Calcutta, che ha decuplicato il pubblico dell’indie italiano. Il lessico di Socialismo Tascabile nel 2005 risultava desueto, maneggiato con molta autoironia, e paradossalmente ha incuriosito generazioni successive a quella cui invece pensavamo di rivolgerci. Da allora gli Offlaga si sono evoluti, anche nel modo di scrivere i testi. Bachelite e Gioco Di Società, sotto questo punto di vista, non sono sovrapponibili al primo album. Un cambiamento che però non è avvenuto per una scelta estetica a monte. Eravamo cambiati noi, era mutata la consapevolezza di quello che facevamo, io stesso non volevo raccontare le stesse cose nello stesso modo. Per questo, dal punto di vista lessicale e semantico, nei testi di Gioco Di Società, che è arrivato sette anni dopo, c’è qualche affinità con i precedenti ma sono evidenti anche molte divergenze. La voce e il tono sono gli stessi, ma sono cambiate un po’ di cose. Forse sarà per questo che Socialismo Tascabile si è consacrato il disco più amato degli Offlaga”.
C’è un momento dell’anno in cui, puntualmente, gli Offlaga tornano alla ribalta. Ogni 2 agosto, anniversario della strage di Bologna, la canzone "Sensibile", forse il brano con il significato più forte di tutto il loro repertorio, viene ampiamente condivisa sui social. Ma il video che circola e va per la maggiore non è ufficiale e, a differenza dei (pochissimi) video della band, sembra banalizzare il tema trattato. Non sarebbe il caso di pubblicarne uno ufficiale, in modo da risolvere la questione alle radici?
“No”, su questo Max non ha dubbi. “Siamo sempre stati attenti a non risultare didascalici, e realizzare un video su un argomento così controverso, in un momento in cui i videoclip sono prodotti superati, non avrebbe più lo stesso impatto di allora. Il video non ufficiale che circola è pieno di ingenuità. C’è da dire che non siamo mai stati inappuntabili nemmeno noi nella scelta dei singoli, "Robespierre" a parte. Non siamo mai riusciti a individuare il brano più forte negli altri album, che in Bachelite è sicuramente "Sensibile", molto più di "Ventrale" e "Onomastica", e in Gioco Di Società è "Piccola storia ultras", più di "Parlo da solo" o "Respinti all’uscio"".
Canzone che, su tutte, è accompagnata dal mio video preferito.
“Il video di "Respinti all’uscio" è stato interamente pensato e realizzato da Enrico, grazie all’archivio messogli a disposizione dalla nostra televisione locale, TeleReggio. Lì Enrico ha trovato pochissimo materiale utilizzabile del concerto dei Police, così ha pensato di integrarlo con riprese di riempimento tratte dai telegiornali dell’epoca. Senza saperlo, ha scelto immagini che mi riguardano, a partire da un corteo di studenti dell’8 marzo in cui ho riconosciuto i miei compagni di militanza della FIGC e una mia fidanzatina dell’epoca. Il tutto, ripeto, in modo involontario. La prima volta che l’ho visto, e tieni conto che allora Enrico stava bene e non c’era nessuna avvisaglia o pericolo per il futuro della band, ho pianto dalla commozione e dalla contentezza. L’ho trovato centratissimo, bellissimo, con un gusto perfetto per quel tipo di montaggio e nel modo di raccontare la città. Ed è allo stesso tempo la perfetta nemesi del video di "Parlo da solo", realizzato da Luca Lumaca, un bravissimo videomaker nostro amico, in cui, visto da qui, emerge invece una città che ricorda Reggio durante il lockdown. Un panorama urbano abbandonato in cui un’automobile si muove lungo vie deserte, e sullo sfondo solo edifici senza traccia di esseri umani. La città contemporanea, desolata e spopolata, in contrapposizione alla Reggio degli anni 80, piena di gente, di vita, di fermento e di gioiosa confusione”.
Un altro momento in cui mi si ripropongono ciclicamente gli Offlaga Disco Pax è il mese di febbraio, per motivi indubbiamente meno nobili. Ogni anno mi approccio a Sanremo con una fantasia perversa, quella di trovare, nella serata dei duetti e delle cover, gli Offlaga Disco Pax accompagnare uno dei concorrenti del festival nell'esecuzione di uno dei loro brani. Nell’anno di Lucio Corsi, un outsider un po’ come loro, ho chiesto a Max con quale artista italiano vorrebbe condividere il palco dell’Ariston e con quale titolo.
“Sarebbe senz’altro un concorrente suicida, o almeno un amante del pericolo. Ci vorrebbe un artista che allo stesso tempo fosse da Sanremo ma che avesse con noi almeno un’affinità umana, se non personale. L’unico che mi viene in mente in questo momento, per attitudine e anche perché con lui ho già diviso il palco qualche anno fa, in un concerto per Enrico Fontanelli organizzato alla Flog di Firenze per i 30 anni del Rock Contest, è Dario Brunori. Abbiamo eseguito insieme una versione abbastanza curiosa e con accento calabrese di "Dove ho messo la Golf". Il problema è che Brunori non è matto e non chiamerà mai gli Offlaga a duettare con lui”.
Non vi nascondo che io speravo invece in una versione di "Lungimiranza" con Ligabue e Vinicio Capossela.
“Ah certo, quei due vengono di sicuro. Ipotesi molto suggestiva però, a prescindere dalla nostra disponibilità, Ligabue non farà mai Sanremo, Capossela ha già partecipato con Giovanni Truppi, ma comunque nessuno dei due ci chiamerebbe mai. Sono un grande fan di Lucio Corsi, ma il suo immaginario di riferimento non è sovrapponibile a quello degli Offlaga. Ma chi è che ha un immaginario di riferimento sovrapponibile al nostro? Più probabile che invece uno come Manuel Agnelli possa assegnare la cover di "Robespierre" a un concorrente di X Factor, questo non lo escludo. Resta il fatto che Sanremo è fuori dalla nostra portata. L’unico brano degli Offlaga che potrebbe avere un senso al Festival è "De Fonseca". Una canzone che parla d’amore e non di politica, nonostante il brand citato che è una cosa che non piace agli organizzatori, anche se dall’avvento della trap e del rap le cose sono un po’ cambiate e grazie a "Minchia signor tenente" di Faletti si sono aperte le porte al parlato sulle canzoni. Ma Sanremo non è il nostro mondo. Mi piace seguirlo perché è uno spaccato della società italiana e per parlarne male, ma anche bene. Quello che ho apprezzato di quest’anno è vedere tre cantautori, tutti e tre sul podio, alla faccia degli autori che firmano qualunque canzone possibile e immaginabile. I primi tre posti occupati da artisti che si sono scritti da sé i loro brani. Un bel segnale verso le catene di montaggio delle case discografiche”.
Volevo raccontare un’ultima cosa a Max Collini, ma dovevamo chiudere l’intervista, così la scrivo qui. Anni fa ho acquistato una maglietta sbagliata, che è una linea di t-shirt illustrate con vistosi abbinamenti grafici e concettuali consapevolmente paradossali, principalmente in ambito musicale, frutto di un’idea geniale del mio amico ed ex collega Dietnam. Il modello che avevo scelto era quello con l’iconica onda del pulsar di Unknown Pleasure con sotto, al posto della scritta Joy Division, il nome dei Nirvana. Qualche settimana dopo ho notato una foto proprio di Max Collini davanti al microfono con la stessa maglietta. Aveva condiviso l’immagine sul suo profilo Facebook, e ricordo benissimo che c’era gente che non aveva capito e commentava stupita il grossolano qui pro quo. Ma come, uno come il cantante degli Offlaga Disco Pax, che sa chi è Mark Lanegan, non conosce i dischi di due band così importanti e si lascia trollare in questo modo?
Poche settimane dopo ci sarebbe stata una serata del progetto Spartiti, quello di Collini con Jukka Reverberi, al Carroponte di Sesto San Giovanni. Avevo già visto due volte gli Offlaga proprio nella stessa location. La prima, ricordo, avevo portato con me mia figlia, quella della foto con il Microkorg. Prima del concerto, in prossimità del palco, c’erano dei saltimbanchi che vendevano delle palle da giocolerie. Mia figlia, quell’estate appassionatissima di bandiere, aveva chiesto di comprare il set con i colori dell’Ucraina. La questione del Donbass, per non parlare di Zelens'kyj e della guerra con Putin, era ancora lontana da arrivare, e quegli artisti di strada si erano semplicemente sorpresi della competenza in geografia di una bambina delle elementari. L’abbinamento dei colori con cui realizzavano gli oggetti per i loro numeri era del tutto casuale, per non parlare della totale involontarietà di un richiamo nei confronti di qualche nazionalismo ancora latente. Alla data di Spartiti, anni dopo, mi ero invece presentato da solo, con un anticipo prudentissimo. Avevo persino incrociato Max Collini a spasso per il parchetto che circonda il Carroponte. Max aveva notato la maglietta sbagliata come la sua che avevo indossato per l’occasione, commentando la cosa con una battuta.
C’è un’altra parte piuttosto curiosa di questa storia, che più o meno coincide con il finale. Ho messo e lavato quella maglietta in cui Ian Curtis e Kurt Cobain condividono lo stesso logo innumerevoli volte, fino a scolorirla e a renderla inutilizzabile. L’anno del lockdown, era il 2020 e in estate sembrava che il virus ci avesse concesso una tregua, ho chiesto a mia suocera novantenne, tutt’ora in gambissima, di ricavare una mascherina anti-covid ritagliando la parte della maglietta con il disegno del pulsar. Ne avevo vista una identica su Instagram e mi era sembrata una buona idea. Le mascherine in cotone non erano il massimo dal punto di vista della prevenzione ma potevano comunque essere indossate nelle situazioni meno a rischio.
Le ho mostrato il disegno sul davanti della t-shirt e mi ha confortato sapere che ci fosse sufficiente tessuto per ricavarla. Quella occasione ha dimostrato che mia suocera non è una fan dei Joy Division, malgrado ai tempi del loro blasonatissimo disco d’esordio fosse più giovane di me nel momento in cui le ho fatto questa richiesta da adolescente. Non essendo riconducibile propriamente al movimento post punk/new wave, mia suocera ha infatti utilizzato lo scampolo della maglietta ma con il disegno ruotato di 90 gradi in senso anti-orario, con le celebri pulsazioni elettromagnetiche messe in verticale anziché in orizzontale, forse pensando che l’orientamento non avesse importanza. Avevo dato per scontato che avrebbe realizzato la mascherina come la maglietta, ma in realtà il modo in cui posizionare le onde era un’istruzione necessaria. Il disegno messo per così risultava dissacrante e iconoclasta in eccesso, e la mascherina ovviamente non l’ho mai utilizzata. Malgrado ciò, non ho fatto notare l’errore a mia suocera, che anzi avrebbe potuto lanciare una linea di mascherine sbagliate. La morale è che le persone anziane non sono in grado di cogliere l’amore per il rock dei giovani come me e la serietà con cui prendiamo cose come queste.