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REVIEWSLE RECENSIONI
29/01/2024
Tenhi
Valkama
Un ascolto spirituale e intimo, un viaggio delle emozioni, malinconico e struggente, come fuga dalla realtà che ci circonda.

Musica di nicchia che più di nicchia non si può. Eppure, i finlandesi Tenhi, oltre ad essere giro fin dagli anni Novanta, si sono guadagnati la reputazione di essere degli autentici fuoriclasse, dei maestri inarrivabili del dark folk.

Dopo ben dodici anni dal precedente Saivo, esce finalmente il nuovo Valkama, un album figlio di una pazienza ostinata. Non soltanto a causa del divario temporale dal suo predecessore, quanto, semmai, per la struttura e il ritmo delle canzoni stesse. Molte partiture di questo disco, sembrano, infatti, esistere in modo naturale come l'erba cresce in giardino o una goccia d’acqua riempie lentamente la brocca. E’ vero, ci sono alcuni travolgenti picchi cinematografici che evocano la tempesta, ma gran parte di Valkama si basa sugli stili minimalisti e dark folk che i Tenhi plasmano ormai da quasi trent’anni.

 

Il lungo processo creativo, attraverso cui sono state concepite le dodici canzoni in scaletta, parte da un’idea di un racconto di fuga da un insediamento devastato e annerito, la cui unica via d’uscita è rappresentata da acque limacciose che conducono all'isola dei morti. Scappare dagli orrori del mondo reale, utilizzando la canoa che è rappresentata in copertina (uno scheletro ornato di fiori è la rappresentazione impeccabile del suono della band), che evoca tanto il sonno eterno quanto la speranza. Quello che una volta era un viaggio dolente e cupo, però, oggi riceve nuova vita e un po’ di ottimismo. Il titolo dell'album, infatti, si traduce in "rifugio", e il disco narra il viaggio verso questo posto speciale, verso la salvezza dell’anima.

Valkama emana un senso di pace interiore con la sua lussureggiante miscela di chitarre acustiche, archi, flauti e tastiere, su cui si odono voci sommesse e struggenti. Non mancano paesaggi sonori inquietanti, per i quali la band possiede un indiscutibile talento, ma non si può negare che, questa volta, le atmosfere siano più calde e meno tenebrose. La band, poi, riesce a produrre quanta più emozione possibile anche dai rami più spogli del songwriting.

 

Così, la scarna "Kesavihanta" vive sull’interplay fra chitarre morbide e un coro dalle sfumature vagamente orrorifiche, mentre "Rannankukka" è costruita intorno a un pattern di batteria tribale. Sono tutte le piccole cose ben riuscite che rendono questo album un viaggio a dir poco magnetico. In tutto Valkama, poi, all'ascoltatore viene costantemente ricordato il potere del pianoforte, le cui note intricate e piangenti hanno spesso un peso determinante nello stillicidio delle emozioni.  

Non esiste un punto debole in scaletta. "Hele" possiede una luce speciale, è la metà del viaggio, evoca le stelle che illuminano il vasto cielo sulle teste dei viaggiatori, ogni nota delicata fende la nebbia con inconfondibile chiarezza. È davvero incredibile quanto tutto sia vivido qui: ogni colore dell'orizzonte e le increspature dell'acqua. In molti modi, questo sembra il disco della meditazione definitiva: in un mondo così ossessionato e intorpidito dalla gratificazione immediata, Valkama cerca l’esatto opposto. La lentezza, l’intimo, l’osservazione, la stasi.

La conclusiva "Aina sininen aina" è il momento in cui il viaggio finisce e la destinazione è chiara davanti agli occhi, mentre la melodia si fa ancor più rilassata e lenta, i cori stratificati sopra l’onda delicata dei bassi e delle note di pianoforte a goccia. Un contrasto voluto con l’estremo opposto, l’iniziale e malinconica "Saattue", il brano più lungo ed epico del disco.

 

E’ probabilmente sbagliato, però, sottolineare la bellezza solo di alcune canzoni, perchè si fa torto a settanta minuti di musica davvero toccante, pensata chiaramente per essere valutata nella sua interezza, con il minor numero di distrazioni possibile, come se davvero si affrontasse un lungo viaggio, il timone in mano e le stelle a indicare il cammino. Valkama impone, infatti, una connessione con la natura, e ci obbliga ad attingere al nostro lato spirituale, che spesso dimentichiamo.

Alla fine dell’ascolto si arriva forse stanchi ma gratificati, perché nel lungo, e lento fluire del disco si percepisce amore, dedizione, cura dei suoni, senso per la scoperta. Non c’è dubbio che i Tenhi siano assoluti maestri nel tratteggiare una musica folk, ondivaga fra terra e volta celeste, un mondo a parte, stavolta attraversato da un po’ più di luce, che rende meno opprimente il sudario di una realtà oscura e drammatica.