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REVIEWSLE RECENSIONI
21/02/2024
Lucifer
V
Quinto album in studio per i Lucifer, che rileggono con appassionato trasporto l'hard rock classico di settantiana memoria.

Un nome inquietante dai richiami satanisti, i continui ammiccamenti alla morte, i rimandi all’occultismo e una mise en place tenebrosa, potrebbero far pensare che quello degli svedesi Lucifer sia un rock dai forti connotati gotici. In realtà, a parte un album d’esordio virato verso il doom, la band capitanata da Johanna Sadonis possiede un approccio molto meno oscuro di quanto si possa pensare, e il nuovo disco, come quelli che lo hanno preceduto, è semmai un lavoro indirizzato a far rivivere la golden age dell’hard rock, quegli anni ’70, cioè, che vedevano protagonisti della scena gruppi leggendari quali Black Sabbath, Led Zeppelin, Deep Purple e Blue Oyster Cult. Un’evoluzione, questa, che ha reso più accessibile la proposta di una band evidentemente alla ricerca di un bacino sempre più ampio di consensi.

In tal senso, il nuovo V, pur in una veste formale che ammicca all’horror (la copertina, i titoli delle canzoni, i rimandi cimiteriali) è un disco brillante, piacevolissimo anche per orecchie non abituate ai suoni più estremi, e soprattutto attraversato da un’inclinazione melodica di facilissima presa, in cui il sole illumina più di quanto ghermiscano le spire della notte.

Il disco si apre con la classicissima "Fallen Angel", ritmica galoppante, riff che paga debito ai Black Sabbath, brano che aggancia l’ascoltatore con assoli brevi ma incisivi e la voce splendida della Sadonis, che forgia con grinta un ritornello dall’immediato appeal melodico. "At The Mortuary" testimonia l’abilità della band svedese di giocare con una materia antica, resa però appetibile da uno slancio moderno e idee intriganti. La partenza è evidentemente l’ennesimo omaggio ai Black Sabbath, l’atmosfera è doom, catacombale, ma poi il brano si sviluppa tra rock classico e pop, il suono delle chitarre è vintage che più vintage non si può, e i vapori sulfurei che emergono nella parte centrale trovano il perfetto contrappunto in un ritornello dalla melodia irresistibile.

Se "Rider Reaper" omaggia fin dal titolo i Blue Oyster Cult, quelli più lineari e melodici, "Slow Dance In A Crypt" è una ballata bluesy a volute discendenti, un brano ammantato da oscuro romanticismo e segnato da un bel interplay tra chitarre e qualche nota sgocciolante di piano. A seguire, "A Coffin Has No Silver Lining" torna ad accelerare e sprizza energia hard rock attraverso un ritornello che cita gli Scorpions di "No One Like You", mentre l’arpeggio acustico con cui si apre "Maculate Heart" introduce un rock diretto e orecchiabile, dal retrogusto anni ’60 (il tiro ricorda vagamente i Jefferson Airplane più scatenati) e strattonato da un assolo infuocato che cattura l’aura di un epoca in cui questa musica usciva quotidianamente dalle radio di mezzo mondo.

Il disco fila verso la conclusione attraverso le maglie del rock blues rugginoso di "The Dead Don’t Speak" e le accelerazioni di "Strange Sister", brano intervallato brevemente da un rallentamento doom e scartavetrato da una graffiante prova vocale della Sidonis. Chiude la scaletta "Nothing Left To Lose But My Life", una ballata oscura che avvampa in uno splendido assolo blues a lenta combustione.  

Sarebbe semplicistico e riduttivo parlare di V come di un semplice album derivativo, perché sebbene sia evidente il patrimonio genetico ereditato da queste nove canzoni, l’approccio compositivo della band è scintillante, soprattutto nella capacità di amalgamare tanti ingredienti conosciuti con una forza espressiva appassionata e stimolante. Niente di nuovo, certo, ma nemmeno la solita zuppa vintage, tutta nostalgia e frusta riproposizione di abusati clichè. Se, quindi, i vostri vecchi dischi di hard rock si stanno consumando a furia di ascoltarli, dategli una spolverata e rimetteteli al loro posto: i Lucifer sapranno farvi godere nello stesso modo.