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REVIEWSLE RECENSIONI
05/12/2017
Bjork
Utopia
Come una novella Violetta della "Traviata", la sua voce trasvola di gioia in gioia attraverso le quattordici tracce del disco, accompagnata da archi, suoni della natura, cinguettii, flauti, un uso dell'elettronica ben dosato da Alejandro "Arca" Ghersi...
di Alessandro Menabue

A quasi tre anni di distanza da "Vulnicura" - che rappresentava una sorta di rintocco a lutto per la fine del suo matrimonio - Björk ritorna con "Utopia", album con il quale la cinquantaduenne artista islandese proclama il suo ritorno alla vita, alla felicità. Come una novella Violetta della "Traviata", la sua voce trasvola di gioia in gioia attraverso le quattordici tracce del disco, accompagnata da archi, suoni della natura, cinguettii, flauti, un uso dell'elettronica ben dosato da Alejandro "Arca" Ghersi e frequenti richiami a soluzioni stilistiche ormai diventate veri e propri tratti distintivi della sua trentennale carriera. In quello che a tutti gli effetti è un concept album, Björk si avventura in un viaggio alla ricerca dell'amore (sia fisico che spirituale) e del piacere in tutte le sue accezioni; attraversando un mondo che appare come un Eden - un'utopia, per l'appunto - la cantante tenta di coinvolgere ogni singolo senso dell'ascoltatore, lo vuole accanto a sé lungo questo viaggio della resurrezione e della letizia. E qui sta l'inghippo: se è vero che un viaggio non necessariamente prevede una meta, in "Utopia" non è soltanto la destinazione ma il percorso stesso a risultare incerto, confuso. La sensazione è che l'urgenza di ostentare la ritrovata serenità abbia preso il sopravvento sulla progettualità; personaggio da sempre piuttosto incline alla grandeur e all'autocompiacimento, Björk mette troppa carne (o troppi flauti) al fuoco e paradossalmente finisce per appesantire un disco che nelle intenzioni, si presume, avrebbe dovuto volare leggero alle orecchie dell'ascoltatore. Gli arrangiamenti, curati in maniera perfino ossessiva, sovraccaricano più di una canzone e finiscono per rendere oltremodo omogeneo il sound dell'album. Non mancano alcuni buoni episodi: il brano di chiusura Future Forever, la fascinosa Saint e soprattutto Courtship, non a caso uno dei rari momenti nei quali l'utopico errare di Björk pare subire una battuta d'arresto per riportarci all'amara realtà. Lavorare in sottrazione avrebbe fatto di "Utopia" un disco interessante; forse non un capolavoro ma di certo un album più riuscito. In passato altri artisti ci hanno accompagnati lungo i sentieri che attraversano le bellezze del mondo, quello reale e quello sognato, e lo hanno fatto in maniera più stimolante. Per chiarimenti rivolgersi a The Sensual World di Kate Bush.