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REVIEWSLE RECENSIONI
05/11/2020
Enslaved
Utgard
Il ritorno della storica band norvegese con un disco riuscito di black metal, in cui confluiscono, però, anche tanti elementi progressive.

Utgard, nella cosmologia germanica, è un mondo abitato da demoni, giganti e mostri, in contrasto con Midgard, mondo degli dei e degli uomini. Esso viene situato, generalmente, a oriente del mondo abitato, separato da esso per mezzo di un largo fiume; ma a volte appare localizzato al nord, che di solito è la regione del regno dei morti.

Perdonate la divagazione, ma questa premessa era necessaria per comprendere il senso del nuovo lavoro in studio dei norvegesi Enslaved, storica band fondata nel 1991 da Ivar Bjørnson e Grutle Kjellson, arrivata oggi al sedicesimo album in carriera. Un disco, questo, che come i suoi predecessori continua a esplorare storie e leggende della mitologia norrena, di cui il leader e chitarrista è un grande appassionato, anche fuori dal circuito musicale.

Utgard porta a compimento un processo di cambiamento iniziato a inizio millennio con Mardraum, che ha visto la band norvegese modificare con sempre più insistenza la propria proposta musicale. Se infatti gli Enslaved hanno esordito con un suono virato al black metal, puntando su un impianto stilistico cupo, diretto e scabro, e cantando in norvegese antico o in islandese, oggi la band, che ha perso un paio di membri storici, ha arricchito la propria musica di nuove sfumature, scegliendo per le liriche la lingua inglese e spostando il baricentro della propria espressione artistica verso un prog metal più ragionato e meglio arrangiato.

In tal senso, Utgard è un lavoro davvero riuscito, che riesce a fondere diverse istanze e a creare un unicum potente e ricco di epos, a testimonioanza di una band che è stata capace di evolversi, senza tuttavia rinnegare il proprio passato.

L’incedere dei brani, infatti, resta tenebroso, il mood carico di tensione, e l’alternarsi fra voci pulite e growl (Grutle Kjellson, Håkon Vinje, Iver Sandøy) produce, più che in altre occasioni, un effetto straniante e fascinoso.

Metal estremo, certo, ma la scaletta prende anche svolte inaspettate, dovute alla struttura meno prevedibile dei brani. Se, infatti, non mancano brutali randellate come Jettegryta, altrove l’architettura del songwriting si fa più complessa, introducendo elementi psichedelici (il bellissimo assolo di chitarra in Homebound) e addirittura elettronici (il tiro ipnotico e forsennato di Urjotun).

Utgard è il classico disco ben riuscito, ben strutturato e ben suonato, che però contiene due anime e potrebbe così risultare divisivo, lasciando l’amaro in bocca ai fan di vecchia data, ma possedendo al contempo tutte le carte in regola per attirare nuovi proseliti alla causa Enslaved.


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