Tempo fa mi trovavo in quel di Coverciano, per l’esattezza al centro tecnico della Federcalcio, dove accompagnai mia figlia ad una partita di beneficenza della nazionale cantanti (risparmiatemi i vostri “chi se ne frega”). Caso volle che prima di salire in tribuna mi apparve in visione in carne ed ossa il mitico Bonimba Boninsegna; da fanatico di tutto quello che gira intorno al calcio mi appropinquai verso di lui e gli chiesi un autografo (ho un’età che non contempla i selfie).
“Ho aspettato questo momento dai mondiali di Mexico 70” gli dissi, Bonimba mi guardò come si guarda un cinquantenne che chiede un autografo e mi fa: “Mai disperare”.
Ecco tutto questo panegirico per dirvi che ero quasi arrivato alla disperazione dacché non avevo più notizie da tempo di un mio pallino musicale, ovverosia avevo perso qualsiasi traccia riguardante una tra le più belle voci gospel diventata una diva della disco quasi per caso con “Young Hearts Run Free”.
Si, sto parlando di Candi Staton.
Mi direte “cavolo, manco fosse Aretha (che il signore l’abbia in gloria) ma sapete, la vita di un incallito musicofilo passa anche e soprattutto da artisti che ebbero gloria effimera ma che per motivi imperscrutabili ti porti dietro per tutta la vita.
Così grande è stata la mia sorpresa nel venire a conoscenza della prossima uscita di un nuovo album, dall’ultimo che datava 2009, della Staton, “Unstoppable”, e ancor più grande è stato l’entusiasmo nell’ascoltarlo. Arrivata a 78anni, un’età in cui le vostre nonne sono perse dietro ai gossip su Tina Cipollari e vi rompono i coglioni sulla reunion familiar-canzonettistica tra Albano e Romina, la nostra Candi ti ha tirato fuori un disco che già vi annuncio finirà dritto nella mia hit dei migliori dischi dell’anno.
E non si tratta di un disco di solo gospel, come ci aveva abituato nella seconda parte della sua carriera, perlomeno non solo di questo. Il funk e il southern soul sono la cifra principale di “Unstoppable”, come ce lo godiamo nell’opening track “Confidence”, che rende tributo a James Brown, ma non crediate che sia un disco orientato al passato, questo, la produzione di Mark Nevers unita alla sezione ritmica dei due figli della Staton, Marcel e Marcus, scansa con agilità qualsiasi nostalgia retrò. Un suono compatto e moderno al servizio di una delle più belle voci della storia della black music. Sorprende ascoltare brani raffinati che ricordano le arditezze in quota Steely Dan come nella bella “Love Is You”, oppure la bellissima soul ballad dalle reminiscenze politiche di “Revolution of Change” dove la Staton ci ricorda che “se non stai per qualcosa, cadrai per qualsiasi cosa”.
Tempo anche per due cover, una la non molto riuscita “People Have The Power” di Patti Smith (sarà perché a me faceva recere anche l’originale) bella invece “(What’s So Funny ‘Bout) Peace Love and Understanding” di Nick Lowe, risolta con un coro gospel (vorrei sapere perché cavolo tutte le volte che ascolto delle coriste gospel me le immagino come delle suore di colore grasse).
Il resto fila via che è una bellezza, e il bello è che la voce regge, questa quasi ottuagenaria fa le scarpe a tante sciacquette in odor di classifica; ancora tanto funk torrido, una spruzzata di blues, insomma il classico disco che ci fileremo in pochi, ma che ci darà molta soddisfazione.