Soprattutto quello di continuare a sperimentare.
Qui, ad esempio, opera senza macchine da presa, solo con degli iPhone, per la precisione iPhone 7 plus, dotati di app apposita, la FiLMiC Pro.
Non che sia stato il primo, non che sia chissà quale rivoluzione, già Tangerine era stato girato con degli iPhone (solo tre, versione 5s), ma che un regista così importante, uno che ha vinto l'Oscar e che si circonda sempre di ottimi attori, si prenda il lusso di una sperimentazione da giovane, la può dire lunga su questo scostante, strano e difficilmente etichettabile regista.
A differenza di Tangerine, poi, la presenza di questi iPhone è ben camuffata, le riprese sono più nitide, si evitano traballamenti, ci si spreca molto di più in angoli, inquadrature, in sala di montaggio e se non lo si sapesse, probabilmente non ci si farebbe nemmeno caso.
Questa, comunque, la tecnica del tutto originale.
La storia, invece, non brilla certo di novità.
Purtroppo viene da dire, visto che al centro di tutto c'è una donna -Sawyer- bella, giovane, in carriera, vittima di stalking. Un incubo ad occhi parti, che la tormenta da due anni, e proprio quando va in cerca di aiuto da uno psicologo, si ritrova rinchiusa in una clinica psichiatrica dove il suo stalker -a sorpresa- lavora.
La pazza è lei, che sempre lo vede e lo immagina?
O il pazzo è lui, capace di cambiare identità, di fingere, di raggirarla per volerla tutta per sé?
Niente di nuovo, insomma, soprattutto se dentro quella clinica si rimane, se Sawyer è intelligente in modo spaventoso a tratti e a tratti si lascia prendere dall'istinto peggiorando la sua situazione.
Niente di nuovo se vicende simili sono all'ordine del giorno, e di film simili già se n'è visti.
Di ansia, comunque, Unsane ne mette parecchia.
Colpa di quella faccia non certo rassicurante di Joshua Leonard, merito soprattutto della regale Claire Foy, che lontano dalla corte di The Crown, in abiti moderni, brilla in modo diverso e dannatamente efficace, mente c'è spazio pure in piccoli ruoli per la sempre folle Juno Temple e per un Matt Damon in versione uomo anonimo.
Ansia si diceva piuttosto claustrofobica, con mosse che ci vengono rivelate, con la verità che presto viene a galla ma una certa malfidenza rimane.
Chiusi in quella clinica, con piccoli squarci di speranza all'esterno, si resta prigionieri della follia di Sawyer, di primi piani, di stanze strette, di un buio in cui è difficile nascondersi.
Non sarà quindi la rivoluzione del cinema, l'ultimo lavoro di Soderbergh, non sarà la rivoluzione per un genere difficile da rinnovare, ma il suo sporco lavoro di angosciare lo sa fare. Eccome.