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REVIEWSLE RECENSIONI
16/05/2023
Dola
Underground
"Underground" è la nuova fatica di Dola (aka Aldo Iacobelli), una sorta di viaggio nei meandri di un’umanità perdente ma ostinata, marginale ma allo stesso tempo ben decisa a far sentire la propria voce. Un viaggio sotterraneo e caotico, fatto di istantanee spietate e destini in bilico, raccontati con ironia e disincanto.

Confesso che Dola negli ultimi tempi lo avevo perso di vista. Mi ero fermato ad un debutto convincente (Mentalità, del 2019) uscito per una realtà importante come Undamento, e ad un’esibizione live certamente da migliorare, un pomeriggio dell’ultimo Woodo Fest appena prima della pandemia. Cultura Mixtape, che pure coinvolgeva gente come Coez, Frenetik & Orang3 e Ugo Borghetti, me lo sono perso, ragion per cui questo Underground mi ha decisamente colto di sorpresa.

A metà tra EP e album per quanto riguarda la forma (dura 25 minuti ma contiene 12 canzoni) la nuova fatica di Aldo Iacobelli è una sorta di viaggio nei meandri di un’umanità perdente ma ostinata, marginale ma allo stesso tempo ben decisa a far sentire la propria voce. Un viaggio sotterraneo, come indicato dallo stesso titolo, che sembra privo di un approdo, nonché di un punto di partenza, percorso caotico fatto di istantanee spietate, destini in bilico o già rassegnati, che vengono tuttavia raccontati con ironia e disincanto, a tratti addirittura con un tocco di demenzialità.

È una narrazione che ad un primo impatto potrebbe apparire in linea con i soliti schemi abusati dell’It Pop, la solita parabola della sconfitta della Generazione Z; in questo senso un’apertura come “Vita Hardcore” è ingannevole, confezionata com’è con quegli ingredienti, anche musicali, utilizzati in abbondanza da tutti quei nomi che conosciamo bene (da Gazzelle a Calcutta, metteteci un po’ chi volete voi). Andando avanti, però, appare chiaro che Dola è sempre quell’artista che amava stupire mescolando linguaggi differenti, che dava corpo alle sue visioni con un eclettismo talmente sfacciato da risultare spiazzante.

 

Dola scherza coi generi, inserisce chitarre distorte ed elementi elettronici, mescola il Grime con il Garage, accosta ballate acustiche a tracce volutamente sguaiate e rumorose, ci mette dentro persino uno snippet dove una voce femminile si produce divertita nell’imitazione di un growl in pieno stile Death Metal.

Un caleidoscopio di soluzioni, generi e influenze, che hanno sempre come punto chiave la melodia. Aldo in questo è bravissimo: per quanto sepolte da strati di arrangiamenti e deformate dall’autotune (usato, in alcune tracce, in modo volutamente eccessivo e spregiudicato) le melodie ci sono e funzionano tutte, tanto che sorge l’impressione che, se non avesse deciso di abitare il proprio caos sotterraneo, avrebbe avuto davanti a lui un futuro radioso ha hit maker.

A partire dai singoli “Destroy” e “Heavy Metallo”, grezze imitazioni di un rock sghembo da sala prove, dalle quali affiorano tuttavia degli hook micidiali. Oppure “Belli e perdenti”, che cita Rino Gaetano in maniera talmente sfacciata da sembrare una cover, e che malgrado questo è un brano frizzante in possesso di un suo proprio valore.

L’upbeat rumoroso e irriverente di “Benzina”, che dialoga con una “03034” dall’andamento grezzo, sporca quasi come un pezzo dei Motorhead. In mezzo, due ballate semi acustiche come “Nomi cose città” e “On&Off”, piena di esilarante nonsense la prima, ben più drammatica la seconda, forse l’unico momento del disco in cui fa capolino l’evidenza che essere perdenti può far davvero soffrire.

Il brano conclusivo, “Hooligans”, che ha i Synth suonati da Bruno Bellissimo (il bassista e producer compare anche su “Heavy Metallo”) è invece il suo personale masterpiece, il classico brano che dà senso ad una carriera, per quanto breve ancora sia. Un pezzo che si muove sul tema dell’analisi introspettiva, che parte come una classica canzone d’amore, con il suo autore che ad un certo punto esce di testa e si mette a cantare di spranghe di ferro, hooligans e quant’altro. Il tutto all’interno di un pezzo che suona come una canzone It Pop da manuale, forma perfetta e tuttavia riduttiva rispetto ad un contenuto ben più pregnante e stratificato.

 

Un disco che, ciliegina sulla torta, si avvale del lavoro prezioso di Marco Caldera e della partecipazione, oltre che del già citato Bruno Bellissimo, di Benjamin Ventura e No Label, segno di un progetto in cui Vulcano, la sua nuova etichetta, sembra credere molto.

Nulla di veramente nuovo ma un modo fantasioso e divertente di utilizzare le fonti, unitamente ad una personalità senza dubbio interessante. Dola prosegue il suo cammino nel migliore dei modi, indicando anche una possibile strada per svecchiare un po’ una scena italiana negli ultimi tempi sempre più uguale a se stessa.