“Amava New York”
(Manhattan - Woody Allen, 1979)
"Fly me to the moon, fly me to a star
But there are no stars in the New York sky
They are all on the ground"
(Open House - Lou Reed & John Cale, 1990)
Re per una notte o The King of Comedy[1].
Il titolo di un film di più di trent’anni fa di Martin Scorsese ci introduce a quella tre giorni (la Passione?) che è “Al di là della vita”, a mio avviso discutibile traduzione dal titolo originale. Re per più di una notte, in questo caso: giovedì, venerdì, sabato. E domenica riposo. Sì, l’allusione è volutamente riferita a un’altra storia; è noto che il regista italoamericano sia stato seminarista, ma (fortunatamente per noi) ha trovato una modalità alternativa per esprimere la sua religiosità. “Bringing out the dead” - rendiamo onore al titolo e vedremo poi perché - ha a sua volta un debito, più precisamente un legame di sangue con un’altra opera magistrale: “Taxi Driver”, con cui condivide un validissimo sceneggiatore, Paul Schrader[2] e il tema dell’insonnia, quale condizione potenzialmente distruttiva. Travis, reduce dal Vietnam, che guida il taxi di notte perché tanto non riesce a dormire e Frank, paramedico che guida l’ambulanza per le strade notturne di New York. Entrambi alle prese con i propri fantasmi, al cospetto di un mondo sempre più in preda alla follia, prigionieri di una spirale autodistruttiva da cui non riescono a uscire. “Al di là della vita” inizia con un montaggio velocissimo che alterna i due fari-occhi dell’ambulanza a quelli di Frank (un Nicholas Cage (capace, per una volta, di un’interpretazione misurata): il messaggio è chiaro, i fari e le pupille sono un tutt’uno, così come lo è un tassista con la sua vettura. La differenza è che nel film del ’76 De Niro compiva il suo viaggio all’inferno da solo, qui nel ’99, alle soglie della fine del secolo/millennio/mondo, Cage è accompagnato nella sua Via Crucis da tre colleghi, uno per notte. Tre giorni, tre stazioni, scandite da tanta musica. L’inizio è già tutto il film con Van Morrison che canta:
Now listen, Julie baby,
It ain't natural for you to cry in the midnight
It ain't natural for you to cry way into midnight through,
Until the wee small hours long 'fore the break of dawn,
Oh Lord[3]
L’alba. Frank vuole raggiungerla per un solo motivo: dormire, stanco dei fantasmi delle persone che non è riuscito a salvare e in particolar modo una, Rose. Il servizio centrale segnala un’emergenza: arresto cardiaco. Di corsa, su per le scale di uno slum newyorkese a portare l’attrezzatura, senza ascensore. “Perché è tutto un arresto cardiaco?” si domanda un sempre più isterico Frank. Dentro, una famiglia paralizzata per la morte del padre. Fine. Massaggio cardiaco, inutile. Un’idea: “Fate suonare della musica che piaceva a vostro padre”. Ed ecco che le note di una vecchia canzone di Sinatra (un altro Frank), scuotono un qualcosa e fanno riecheggiare un beep. Via, di corsa all’ospedale; nome del pronto soccorso: “Nostra Signora della Miseria”. Un inferno, soprattutto se per le strade di New York serpeggia una nuova droga chiamata, la Morte Rossa.
“Chi ha fatto il turno di notte per impedire l’arresto del cuore del mondo?[4]”. Una poesia del tempo di guerra balcanico accompagna con la sua domanda le notti di Frank: è lui che fa il turno, ma sta per crollare sotto il peso della gente che più che invocare la soluzione della propria sofferenza, gli chiede di esserne testimone, partecipe. Ed è allora, mentre si aggira per le strade, che le facce delle persone, di ogni freak che pare sia stato vomitato fuori da un girone dantesco, assumono ai suoi occhi il volto di Rose.
Un’altra notte, altre urgenze, altro collega. Una ragazza sta per partorire due gemelli in un locale disastrato e in pessime condizioni igieniche. Uno dei due ha dei problemi e allora via, un’altra volta di corsa all’ospedale, dove Frank ritrova l’adulto, ricoverato all’inizio del film, ancora in rianimazione. “Il tipo torna sempre”, gli dicono gli infermieri alludendo al fatto che l’uomo si riprende in continuazione dall’infarto. A un richiamo della figlia, il padre muove un dito e la presa di coscienza corporea scatena una violenta reazione nel malato. Mentre Frank, già scosso per la morte del neonato, è invitato a prendere il defibrillatore, ecco che lo sguardo del vecchio gli fa sentire la voce in testa che gli dice di non farlo, di lasciarlo andare. Al mattino, dopo un turno massacrante, che lo ha portato sull’orlo del delirio a chiedere le dimissioni (negate), incontra la figlia del paziente che esce dall’ospedale per recarsi in un palazzo dove “c’è qualcuno che l’aiuterà a riposare”. Di fronte a questa frase, Frank non può che seguirla, preoccupato anche che le succeda qualcosa. Ad accoglierlo un pusher dai modi gentili che lo invita ad entrare per prendersi una pausa. Finalmente Morfeo arriva a prendere il nostro paramedico che, per quanto aiutato dalle droghe, inizia a dormire, forse sognare[5] e, infatti, Frank sogna di tirar fuori i morti; vede sé stesso camminare per le strade, mentre dalla terra affiorano mani che chiedono di essere prese. In questa scena c’è un inserto geniale, uno stacco musicale su alcuni accordi fulminanti tratti dalla “Sagra della Primavera” di Igor Stravinsky, che è la celebrazione di un risveglio, per l’appunto. Giusto un attimo, poi tutto riparte, con Van Morrison che torna a cantare di una ragazzina morta in un letto d’ospedale e al risveglio il nostro paramedico, dopo l’ennesima visione di Rose, griderà tenendosi la testa tra le mani[6], portando in seguito la ragazza fuori dall’appartamento mentre il pusher lo minaccia chiedendogli i soldi per il riposo procurato.
Sarà ancora una chiamata d’emergenza a farlo tornare da lui, volato al piano di sotto per sfuggire a una sparatoria e rimasto infilzato ad una ringhiera del balcone, sospeso nell’aria. Con lo scintillio filmato al ralenti delle fiamme ossidriche necessarie a liberarlo, Scorsese ci regala una scena magistrale, con lo spacciatore che, surriscaldato dalle fiamme che si liberano nel cielo come fuochi d’artificio, esclama: “Adoro New York!”, mentre la colonna sonora richiama alcune palesi note dalla “Rapsodia in Blu” di George Gershwin. Le stelle nel cielo della Grande Mela, sono, però, cadute tutte a terra, come cantava Lou Reed nell’album dedicato ad Andy Warhol. Lo stesso suolo verso il quale rischia di cadere Frank, agganciato al malcapitato nel momento in cui la ringhiera si distacca. Ci spera, nella fine, ma non è possibile; l’odissea non ha termine.
Allora, al fondo della disperazione, dopo turni con colleghi pazzi che picchiano barboni per sfogarsi, dopo i fantasmi di Rose che non lo lasciano in pace, ecco che si dirige verso il “Nostra Signora della Misericordia” ed entra nella stanza dove è ricoverato il paziente trasportato ad inizio film. Solo, nella stanza con il vecchio che lo guarda con occhi che gli chiedono una sola cosa, la stessa delle voci che sente in testa: “Lasciami andare”. Cosa farà Frank?
La domenica, si recherà dalla figlia del paziente per chiederle “riparo”, per dormire nelle sue braccia in una posa che ricorda molto la tipica raffigurazione pittorica dei Compianti del Cristo morto, mentre da un lato dell’inquadratura, una luce caravaggesca entra nella stanza a smaterializzare i loro corpi.
Post Scriptum. Mentre scrivevo questo pezzo mi rendevo conto che, soprattutto per chi non ha visto la pellicola, la narrazione assumeva una coloritura cupa, pesante, per non dire disperata. Eppure il film, di cui vi ho raccontato alcuni snodi principali, ma nel quale accade molto altro, almeno a me ha sempre trasmesso una profonda empatia. In alcuni momenti, si può persino ridere. Ci sono scene parossistiche e i colleghi di Frank sono un vero spasso. The King of comedy, citavo all’inizio. Già, tutti noi siamo i re della nostra commedia.
[1] Film con Robert De Niro e Jerry Lewis.
[2] Nel 1972 venne pubblicata da Donzelli editore la sua tesi di dottorato dall’emblematico titolo: “Il trascendente nel cinema”.
[3] “T.B. Sheets” , pubblicata nell’anno di grazia 1967, presente nell’album “Blowin your mind”.
[4] “Chi ha fatto il turno di notte”, Iszret Sarajlic - Einaudi editore.
[5] Passo dal celebre monologo di Amleto, anche lui personaggio inseguito da fantasmi e da voci nella testa come Frank.
[6] In una posa che ricorda molto il dipinto: “L’urlo” di Edvard Munch.