“The roads are larger now, it’s a grey afternoon in the stars' back yard. Now I have to write quickly as the altimeter is beating me. The city looks dusty — L.A. is supposed to be 60 miles across. Sixty miles of freaks, stars, pretenders, and dollar worshippers — here we come! Toy palm trees, a baseball stadium. The dinkies become real cars. We’re low and still no airport. You get that ‘Will we hit the runway' feeling about now. Some American airports are frightening. Down, down, down - we’ve landed — our American tour begins!
Oil containers, radar towers, Delta, Shell, Castrol, ‘Fly TWA - L.A'. Captain welcomes us to the USA.”
(Ian Hunter – Diary of a Rock n’ Roll Star)
Se la prima, più celebre, British Invasion portò oltreoceano il merseybeat dei Beatles, il primo brit-pop di Kinks e Manfred Mann, il blues bianco di Stones e Animals, vi fu un altro, minore, arrembaggio inglese alle classifiche americane tra la fine degli anni ’60 e i primissimi ‘70. E questa volta il volume era decisamente più elevato.
“Alla fine degli anni Sessanta, i musicisti inglesi avevano raggiunto lo steso livello delle loro controparti americane nella rappresentazione di quello che il rock’n’roll era diventato. Rispetto alla netta offensiva della prima fase della invasione inglese in America, quando una schiera di gruppi inglesi si riversarono ai vertici delle classifiche dei singoli americani, questa seconda fase non era altrettanto evidente. Nessun artista inglese, ad eccezione dei Rolling Stones e dei Beatles che erano ancora popolari, era arrivato in testa alle "chart" americane dei singoli tra il 1967 e il 1970, e soltanto quattro nuove formazioni britanniche salirono in vetta a quella degli album nello stesso periodo: Cream, Jimi Hendrix Experience (inglese per due terzi), Blind Faith e Led Zeppelin. Man mano che gruppi e solisti arrivavano in America portati dalle tournée in tutto il paese, iniziarono a rendersi conto delle conseguenze incredibili per loro nel caso che avessero sfondato sul ‘mercato americano’, e quindi si riformarono e si migliorarono fino a che non riuscirono a trovare la formula giusta.”
(Charlie Gillet – The sound of the City)
Dopo la parentesi policroma di psichedelia e idoli di ambigua gioventù come Beach Boys e Byrds, l’Inghilterra si inventò un formato corazzato di rock per grandi spazi e maschili frustrazioni.
Ecco una sintetica cronologia di titoli e posizioni in charts per puntualizzare meglio gli eventi.
Nel marzo 1969 i Led Zeppelin mettono il naso nella top ten USA con l’album d’esordio, poi, sette mesi dopo, saranno già al primo posto con II, il definitivo Vangelo Hard, trainato dal singolo caterpillar “Whole Lotta Love” (n° 4 nel luglio ‘69). In realtà non furono i primi (né forse i migliori…) ad aprire la strada, perché l’originale formato pesante a sbarcare in USA fu il Jeff Beck Group di Truth e Beck-Ola, entrambi al n°15 delle charts nel giugno ’68 e luglio ’69.
Anche i Ten Years After, forti del successone delle schitarrate folli di Alvin Lee a Woodstock, segnarono qualche bel punto tra acclamati concerti al Fillmore - poi riapparsi sul superbo Live at the Fillmore East - e il prepotente hard-blues di Cricklewood Green (n° 14 nell’aprile 1970)
In quella stessa estate del 1970 furono i Free a fare centro con il rombo pre-AOR di All Right Now, un riff che fece scuola e un successone tanto in patria che in USA (n° 4).
Nel settembre 1970 tocca poi ai Black Sabbath di Paranoid (n° 12), che faranno anche meglio l’anno seguente con Master Of Reality, lp nerissimo e scorbutico che pure salirà fino al n° 8.
I Deep Purple, già noti in USA per l’hit “Hush” (singolo al n° 4 nel giugno ’68), dopo profonde riorganizzazioni di line-up, ritornano al successo nel settembre 1971 con Fireball e soprattutto con Machine Head (n° 7 nella primavera del ’72)
Perfino un gruppo che si direbbe “minore” come gli Uriah Heep, con la coppia di album fantasy del 1972, Demons and Wizards e The Magician’s Birthday, entrano in classifica, posizionandosi in America quasi meglio che in patria.
Ci fu poi il caso estremo dei Foghat, nati da una costola dei Savoy Brown, sempre in classifica in USA e mai in Inghilterra dal 1973 in avanti. Situazione analoga, pur con risultati di classifica più modesti, era anche quella degli Spooky Tooth, una sorta di versione iper-pompata della Band, che con Soopky Two ebbe un discreto successo in USA nel 1969, mentre in patria furono sempre ignorati. E viene il dubbio che l’operazione “Bad Company” fosse in effetti finalizzata alla creazione di una macchina musicale schiacciassi prettamente pensata per il mercato USA.
L’America dei primi ’70 brulicava di cappelloni inglesi in tour perenne: sovente urlatori di rock-blues bianco formatisi alla scuola di John Mayall e Cream.
L’America dal suo canto fu sì terreno di conquista, ma fu anche subito pronta a rendere pan per focaccia ai colleghi britannici con gruppi non meno rumorosi, non meno esagitati… non meno hard. Ed anzi gli antesignani del movimento duro vanno ricercati proprio tra le pieghe più intransigenti della psichedelica arrabbiata e psicotica della west-coast, tra le orde di bikers a spasso il paese, tra pesi massimi delle grandi conurbazioni dell’Est, nonché tra i reduci delle battaglie di Detroit.
(Cliccate sul titolo della traccia per l'ascolto)
Jeff Beck – Let me love you
Truth – 1968
Led Zeppelin - Whole Lotta Love
II - 1969
Spooky Tooth – Evil Woman
Spooky Two – 1969
Free – All Right Now
Fire and Water – 1970
Ten Years After – Working on the Road
Cricklewood Green – 1970
Black Sabbath – Paranoid
Paranoid – 1970
Deep Purple – Smoke on the Water
Machine Head – 1972
Uriah Heep – Easy Livin'
Demons and Wizards – 1972