Da quando scrivo di musica ho smesso di essere fan. Lo so, “scrivere di musica” nel mio caso suona strano ma alla fine è questo che faccio. Non ho mai pensato di esserne capace (e credetemi, non lo dico per farmi rispondere: “Ma va! Sei bravissimo, invece!”) ma poco importa: c’è gente che mi chiede di farlo, a me tutto sommato diverte per cui va bene così.
Comunque, dicevo, da quando scrivo regolarmente, più o meno da sette anni (l’ho fatto anche in un periodo precedente ma avevo un atteggiamento totalmente diverso che oggi ripudio in toto), ho smesso di essere fan. Che non vuol dire che non mi piaccia più nulla (al contrario, mi prendono tutti per il culo perché uso toni di apprezzamento per chiunque) ma che cerco di mantenermi il più possibile distaccato dagli artisti di cui mi occupo. Certo, ho anch’io i miei nomi del cuore, ho anch’io delle band che ho visto dal vivo decine di volte e che rivedrei quasi ogni giorno senza stancarmi; ho anch’io qualcuno che faccio fatica a criticare, qualunque cosa faccia. Chi mi conosce bene sa quali sono, non ho bisogno di scriverlo qui e non è neppure importante.
Quel che conta dire ora, è che ho smesso di essere fan non solo perché non è molto professionale (più o meno come il giornalista sportivo che dice apertamente per che squadra tifa) ma anche perché i fan, soprattutto ultimamente, mi stanno sui coglioni.
La ragione, a pensarci bene, è solamente una: i fan sono fan solo dei gruppi famosi. Cioè, non credo che gente peraltro piuttosto nota come Deerhunter o Beach House abbia dei fan. Gente che li apprezza, che li ama tantissimo, certamente sì (anche perché di gente le band citate ne muovono abbastanza, soprattutto a casa loro) ma “fan”, con tutta quell’accezione sentimentale-maniacale che diamo alla parola, secondo me no.
E sapete perché? Perché chi apprezza Deerhunter e Beach House (due nomi totalmente a caso, vado ancora più di nicchia e dico Snail Mail e Housewives, se volete) normalmente ascolta anche centinaia di altre cose. Invece i fan, quelli veri, oltre ad indirizzare il loro affetto su gente strafamosa, nella maggior parte dei casi seguono solo quella, alla peggio una piccola rosa di nomi, sempre e rigorosamente ultra conosciuti. Ovviamente esistono le eccezioni, ovviamente ci saranno tutti quelli che mi manderanno a quel paese ma io non demordo: nella grande maggioranza dei casi funziona così.
Perché essere fan vuol dire investire parecchie energie affettive e le energie di una persona, per quanti sforzi si possano fare, non sono infinite.
Ne risulta dunque una verità scomoda ma difficilmente confutabile: i fan, nel 90% dei casi, di musica non capiscono un tubo. E questo non perché abbiano dei cattivi gusti (che sono sempre soggettivi, secondo me) o perché siano particolarmente ottusi; non capiscono niente di musica semplicemente perché non ne ascoltano abbastanza per potersi fare un’idea adeguata, tale appunto da capirci qualcosa.
Attenzione che non sto denigrando nessuno, nonostante sembri il contrario. Di musica non capisco nulla neppure io, scrivo per passione, non per lavoro, non ci vedo quindi nulla di preoccupante.
Voi direte a questo punto: e allora? Cosa stai cercando di dirci? Semplicemente, che se si distinguessero i ruoli sarebbe meglio. Chi scrive di musica (dilettante o professionista) dovrebbe essere rigidamente separato dal fan. Se capitasse per caso che i due interagissero tra loro, bisognerebbe chiarire subito i ruoli: io sono un fan, tu un giornalista (o presunto tale).
Faccio queste considerazioni perché ieri (rispetto al momento in cui scrivo) è stato ufficialmente annunciato il nuovo disco di Springsteen. Il primo dopo sette anni (perché “High Hopes” non era esattamente un album di inediti vero e proprio). Ne è stata anticipata la tracklist, la data d’uscita (14 giugno) e la copertina, decisamente orribile (e voi direte: “Sai che novità?”).
Ho fatto un post su Facebook dove ho messo l’immagine assieme alla scritta: “Pare non sia un fake. PURTROPPO.”. Mi riferivo alla copertina, ovviamente, ma non l’ho specificato. Tempo cinque minuti ed ecco cominciare ad arrivare messaggi caustici, come se avessi già recensito il disco negativamente. Ne sono arrivati pochi, non più di cinque o sei, ma nel giro di cinque minuti. Quando pubblico qualcosa relativamente ad artisti anche leggermente meno famosi del Boss, le mie interazioni sono pressoché nulle. Fondamentalmente io non sono nessuno, ho pochissima gente che mi segue e quello che scrivo/posto interessa a pochi. In più, non sono in possesso dei meccanismi da influencer e neanche mi interessa. Posto all’ora che voglio, senza fare calcoli. Ma se scrivi di Bruce, stai sicuro che ti beccheranno sempre. E non sarà mai per dirti quanto sei figo. Perché se non scrivi che ami Bruce, che lui è Dio, che lui è l’unico ancora degno di pubblicare dischi, che “Western Stars” sarà un capolavoro, che non vedi l’ora di andare a tutte le 350 date del prossimo tour e cose così, hai finito di vivere. I fan di Springsteen sono i peggiori del mondo, almeno in italia. Giuro, i fan di Vasco sono più simpatici. Perché almeno non fanno finta di sapere le cose, non sparano giudizi su chiunque. I fan di Vasco si ammazzano di canne e ascoltano Vasco, fine.
I fan di Springsteen invece no. Loro ti devono convertire, devono spandere il verbo e se tu non accetti di parlare del loro Dio nei termini in cui lo fanno loro, sei fuori.
Nel mio caso comunque non è successo nulla. Ho cancellato il post dopo cinque minuti. Fino a quel momento non era successo niente di che, sia chiaro, ma tirava brutta aria. Meglio evitare sorprese spiacevoli.
E così adesso sono qui. Ho la bacheca intasata da gente in estasi dalle 19 di ieri (perché il primo singolo “Hello Sunshine”, che sarebbe dovuto uscire alla mezzanotte italiana, evidentemente loro lo avevano beccato da qualche parte, ma questo è più che legittimo) e per quello strano effetto bolla tipico dei Social Network, sembra che venerdì 26 aprile sia uscito solo Springsteen.
Va bene così, non mi scandalizzo. Non pretendo certo di trovare centomila notifiche di matti che sbroccano per il singolo dei Black Pumas o per il Tiny Desk Concert dei Better Oblivion Community Center (che non ho ancora visto, cavoli).
Alla fin fine è tutta questione di dove si vuole investire la propria energia affettiva (e conoscitiva, che poi è bene o male la stessa cosa) e anche di possedere un minimo di onestà intellettuale. A me Springsteen piace e anche tanto, sarebbe in malafede chiunque, conoscendomi, sostenesse il contrario. Ma permettetemi di dire che mi interessano tante cose e che quindi per me che a giugno uscirà “Western Stars” non sta in primo piano rispetto al fatto che, per dire, a fine maggio usciranno i The National. E permettetemi anche, nel caso deciderò di recensire il disco in questione, di non montare un caso politico nel caso decidessi anche solo di non utilizzare un tono oltre ogni limite entusiasta. O addirittura di stroncarlo. Lo farò con dovizia di argomentazioni ma un giornalista (o presunto tale) deve essere pronto a stroncare chiunque, anche il suo gruppo preferito, se lo ritiene necessario.
Perché io poi lo so come va: di me non frega un cazzo a nessuno ma quando tocchi il loro idolo, improvvisamente diventi la persona più importante della terra.
I fan facciano i fan, i giornalisti (o presunti tali) facciano i giornalisti (o presunti tali). A ognuno il suo e il mondo sarà un posto migliore.
Chiarito questo, fatemi dire la mia su “Hello Sunshine”: è un bel pezzo. Non da strapparsi i capelli ma è forse una delle cose più ispirate che Springsteen abbia mai pubblicato da diversi anni a questa parte (non che ci volesse molto ma non era scontato). Potrebbe anche venirne fuori un buon disco, con un po’ di fortuna, qualcosa di cui non saremo costretti a dimenticarci dopo qualche ora. Lo spero davvero. In caso contrario mi cancellerò per sempre da Facebook.