Capita che ci si penta di non aver fatto qualcosa, di non essenziale sì, ma quella rinuncia all’azione sarà con te per sempre.
Fra le poche, molto poche, mie colpevoli rinunce d’istinto c’è un mio procedere a Manhattan lungo la 23rd Street West, direzione 10th Avenue, certamente oltre il – allora – Chelsea Hotel.
Sono già scoccati i Nineties.
Sono diretto per un lunch verso un diner aperto essenzialmente 24/7 (essenzialmente) che ho sempre amato[1] sin dalla prima volta che ci andai a cena, era l’autunno del 1986.
Lo incrocio, allora lui aveva un locale con dei biliardi da quelle parti, ma per mio stupido pudore non lo fermo per chiedergli un autografo.
È Matt (all’anagrafe Matthew Raymond) Dillon che, non a caso, fisicamente può ricordare Vittorio Gassman[2].
Me ne pento qualche isolato più in là, ma non posso inseguirlo.
Qualcuno si ricorda in quali film ha recitato Dillon? In caso affermativo si tratta di persone oltre i 40 anni. Se si conoscono i film, va bene, si può sorvolare la dimenticanza, altrimenti la situazione si fa più grave.
Matt Dillon è un bravo attore, soprattutto ha recitato in due film importanti ed in uno fondamentale quando la sua carriera pareva lastricata d’oro, se non anche tempestata di pietre preziose.
In ordine puramente soggettivo, qualitativamente crescente: Drugstore Cowboy di Gus Van Zant, The Outsiders di Francis Ford Coppola e Rumblefish del medesimo regista[3].
Poi qualcosa si ruppe.
Spero che lui sia per lo meno non troppo frustrato, perché se fosse sparito (à la J. D. Salinger) dopo i due film di Coppola egli sarebbe stato un degno successore di James Dean.
Mio nonno Luigi era piuttosto superstizioso: poteva a fatica tollerare un ombrello aperto in casa, ma mai un cappello da uomo sul letto! Proprio come il protagonista interpretato da Dillon in Drugstore Cowboy: un tossicomane bandito; il cappello porta davvero irreversibilmente male.
Ma il personaggio del “fuorilegge romantico dell’emporio” (altrimenti non si può tradurre quel titolo, che infatti non fu tradotto) impallidisce a fronte dei ruoli che gli erano stati affidati da Coppola, soprattutto per quel che riguarda Rusty James, più ancora che per quello di Dallas.
Due film tratti da due romanzi omonimi di S. E. Hinton che sono dei best e long seller da decenni. Roba per ragazzi, che ti resta attaccata a vita: chiedere ai Manic Street Preachers.
Matt Dillon è stato allora monumentale in Rumblefish: quando stai bene indossando una canottiera bianca o sei Marlon Brando o sei lui.
Se sai anche recitare sei quasi invincibile; se nel film Mickey Rourke recita bene – è tuo fratello maggiore – e tuo padre “è” Dennis Hopper[4] nulla può fermarti.
Invece non fu così.
La carriera di Dillon non fu quella inscalfibile del grandissimo attore e nemmeno quella del tespiano da grandi incassi (guardate chi c’era con lui nel cast di The Outsiders).
Fra i suoi film della maturità ricordo un buon Factotum, che gli è valso premi e candidature.
Per i giovani lettori: in doppio DVD dovreste trovare i due film di Coppola, nella “regione” che volete. Paradossalmente, più rarefatte o costose le copie dei due romanzi della Hinton.
Aggiungo che la colonna sonora realizzata da Stewart Copeland per accompagnare le vicende di Rusty e del Motorcycle Boy (con un cantato di Stan Ridgway) è un, altro, gioiello.
[1] Amato non nel senso ormai predominante dell’uso del termine in sterile iperbole.
[2] Da qui il sottotitolo del post, che è quasi verbatim il titolo di un libro scritto dal Mattatore.
[3] Per gli allergici all’Inglese, gli ultimi due, titolati in Italiano, rispettivamente: I ragazzi della 56a Strada e Rusty il selvaggio.
[4] Se la ribellione fosse una maglia di un giocatore di football, baseball o soccer, avrebbero dovuto ritirarla alla sua morte.