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REVIEWSLE RECENSIONI
27/04/2022
Rosalie Cunningham
Two Piece Puzzle
Alla sua seconda prova solista, Rosalie Cunningham fa centro con un disco fascinoso e complesso, un ibrido folk rock dagli arrangiamenti voluttuosi e dallo sviluppo imprevedibile.

Vista l’impossibilità di riunirsi agli altri membri della band durante il lockdown, per dar vita al seguito del suo debutto del 2019, Rosalie Cunningham ha lavorato al nuovo album, collaborando esclusivamente con il proprio partner, Rosco Wilson, e facendosi dare una mano, e che mano, dal grande Ric Sanders, violinista dei Fairport Convention, che compare in scaletta, aggiungendo colori brillanti e profondità alle composizioni. Il mood psichedelico che aveva animato il debutto continua a essere presente, ma Two Piece Puzzle è un disco più variegato e complesso, che imbocca diverse direzioni, talvolta anche all’interno della stessa canzone, senza dare molti punti di riferimento all’ascoltatore. E’ evidente, infatti, che la Cunningham possieda un orecchio fantastico per i dettagli e un’incredibile capacità di lavorare sulle stratificazioni, rischiando molto sotto il profilo dell’immediatezza; ciò nonostante, è comunque riuscita a dare respiro alla sua musica, a dispetto di alcuni arrangiamenti davvero complicati.

Ne deriva che Two Piece Puzzle è un disco superiore al pur buon esordio, un lavoro più maturo e pensato, in cui si accostano diversi generi e svariate influenze, in un caleidoscopio coloratissimo in cui convivono rock, folk, psichedelia, Beatles, Jehtro Tull, Byrds, Spirit, etc. Tanti sapori, dunque, per una nuova ed eccitate ricetta, con cui Rosalie ha sviluppato un suono unico e caratteristico.

Il disco comincia con "Start With The Corners", una sorta di breve ouverture, un'introduzione potente e decisa che scivola sulle note di un cupo organo e poi parte trionfante su chitarre scintillanti, aprendosi a una melodia frizzante e distorta. Un brano che profuma di prog, elaborato negli arrangiamenti, eppure incredibilmente scattante. La successiva "Donovan Ellington", si apre con un riff che evoca i Byrds, e si sviluppa, poi, su trame folk rock che ricordano i Jethro Tull, prima che si scateni un convulso duello di chitarre in acido. Poi, la canzone rallenta, ed entra in scena il violino di Sanders, che aggiunge ulteriori emozioni a un brano già decisamente vibrante.

Rosco prende in mano il microfono in "Duet", dimostrando di essere all’altezza della sua compagna, in questo brano, intrigante e orecchiabile, sospinto da un suono di pianoforte che sviluppa una melodia molto beatlesiana e dagli accenti psichedelici.

Segue un altro pezzo epico, "Tristitia Amnesia", che distribuisce sapientemente spezie indiane, prima d’indirizzarsi verso un groove rock dalla mistica psichedelica, la stessa che pervade la struttura complessa di "Scared of the Dark", un brano scartavetrato dall’energia vibrante di chitarre acidissime.

Giunti a questo punto, è chiaro che non basta un semplice ascolto per cogliere tutte le variegate sfumature di una scaletta, in cui nessuna canzone rimane la stessa per tutto il tempo e i generi si affastellano senza dare ovvi punti di riferimento. Tuttavia, quello che poteva trasformarsi in un gran pasticcio in mani meno abili, grazie alla visione lucida della Cunningham, si trasforma in un puzzle fascinoso, invitante e incredibilmente coeso.

Così, in questo contesto di suoni tanto voluttuoso, possono convivere anche "Suck Push Bang Blow", un hard rock blues gonfio d’organo e di chitarre distorte, e la conclusiva "The Liner Notes", un altro inno alla complessità, che si sviluppa su splendidi lick di chitarra dal sapore jazzy, per poi srotolare la melodia in un contesto di strumenti sbrigliati, e cambiare improvvisamente direzione, per imboccare l’inaspettata strada che conduce a un evidente omaggio ai quattro ragazzi di Liverpool (grazie a quella chitarra slide, harrisoniana fino al midollo).

La versione deluxe dell’album contiene altre due canzoni, l’onirica e super psichedelica "Number 149", e l’ondeggiante "Fossil Song", che sigillano una scaletta di altissimo livello artistico.

Two Piece Puzzle, con il suo tripudio di sonorità vintage, riesce a suonare quasi famigliare a chi ha le orecchie allenate da tanti anni di ascolti, ma finisce quasi subito per confondere le aspettative dell'ascoltatore, che si troverà spiazzato anche dall’imprevedibile sviluppo di ogni singola canzone, che difficilmente arriva proprio là, dove avevamo intuito potesse arrivare. Il punto di forza di questo disco, però, è il perfetto equilibrio fra la complessa e variegata ricchezza di arrangiamenti, e l’agilità con cui queste canzoni trovano spazio per muoversi libere in paesaggi rigogliosi di inaspettata bellezza. Un gioiellino da custodire gelosamente, opera di un’artista che ha davanti a sè un futuro grande così.