“Questo è un momento serio, visto che immagino che questa sarà l’ultima volta che ci vediamo: grazie per questi cinque anni bellissimi!”. Si congeda così dal suo pubblico Giorgio Guarascio, dopo novanta minuti di un concerto sudato e coinvolgente, nello spazio completamente sold out dei Magazzini Generali. Boutade di un artista che ha da sempre il surrealismo demenziale come sua cifra stilistica? Oppure criptica anticipazione di un imminente ritiro dalle scene? Propendiamo per la prima ma non si sa mai, d’altronde se c’è uno che potrebbe lasciare tutto alle soglie dell’esplosione commerciale è proprio lui.
C’è un motivo dietro il successo tardivo di Tutti Fenomeni: Merce Funebre, l’album d’esordio dell’ex collaboratore dei Tauro Boys, è uscito proprio alla vigilia di quella pandemia che ha bloccato per due anni il mercato dei live, ragion per cui la collezione di sold out che sta mettendo insieme data dopo data sta avvenendo solo ora. In precedenza lo avevamo visto in azione solo nei festival estivi (memorabile la data al Mi Manchi Ancora al Circolo Magnolia, sotto una pioggia torrenziale, con tutto il pubblico in piedi a ballare, in barba alle sedie e alle regole sul distanziamento) ma mai in un vero e proprio tour nei club.
Tutti Fenomeni, è abbastanza inevitabile dirlo, ha azzeccato i tempi in modo da riempire un buco: mancava uno così nella scena italiana, che trattasse i testi con assoluta padronanza linguistica e coscienza della molteplicità dei significati, che li mettesse al servizio di canzoni dall’estetica Urban ma sufficientemente elaborate e sofisticate da mescolare diverse influenze, dal cantautorato classico alla canzone da osteria. Mancava uno che fosse intelligente al punto tale da non seguire il linguaggio del mainstream, dal non allinearsi alla dittatura dell’immagine preferendo parlare esclusivamente con la musica (Giorgio non ha praticamente mai utilizzato i Social).
Mancava uno così, tanto vale che lo dica apertamente, da quando non ci sono più I Cani, e non è un caso che entrambi i dischi di Tutti Fenomeni siano usciti per 42Records e siano stati prodotti da Niccolò Contessa. Se non ci fosse stato Aura, se non avessero successivamente appeso gli strumenti al chiodo, probabilmente il futuro della band che ha dato un nuovo senso all’espressione “Indie italiano” sarebbe stato molto vicino alle canzoni che Giorgio ha scritto negli ultimi tre anni.
A ben guardare, oggi in Italia non esiste nessuno come Tutti Fenomeni, unico nome nuovo in grado di mettere d’accordo tutti, seguaci delle ultime mode e soloni impenitenti (conosco diversi over 40 che, se proprio non lo ascoltano, ne riconoscono per lo meno la caratura artistica) e il successo di questo tour, pur effettuato in piccoli locali, rappresenta un piccolo segnale di speranza per coloro che non si rassegnano a vedere la musica italiana appiattita sui trend imperanti.
Sold out, dicevamo. Quando arrivo sul posto, verso le 20.30, i Magazzini Generali sono già belli stipati. L’inizio del concerto è previsto per le 21 e la gente è giustamente in paziente attesa. Età media, a colpo d’occhio, 30 anni o giù di lì, segno che la proposta in questione è troppo sofisticata per poter essere compresa appieno dai giovanissimi (troppi riferimenti letterari, cinematografici e musicali, troppi livelli di lettura, troppa ironia sottile) ma sufficientemente fresca (e anche un po’ snob, seppure in senso buono) per essere fruita da studenti universitari e neo laureati.
Purtroppo si inizierà solo pochi minuti prima delle 22, in un’eterna perpetrazione di quel mistero italiano per cui si fa a gara a cominciare i concerti il più tardi possibile, facendo però arrivare il pubblico in sala con larghissimo anticipo.
Non c’è supporto, per cui sono già Giorgio e i suoi musicisti a prendere possesso dello stage. La band è la solita già vista in azione due estati fa: Francesco Bellani alle tastiere, Giorgio Conte alla chitarra, Francesco Aprili (già componente fisso del gruppo di Giorgio Poi) alla batteria. Lo stesso Giorgio, oltre a cantare, si accompagna saltuariamente al Synth. L’assetto è quello giusto, ideale per fornire una dimensione live a brani che in studio risultano molto prodotti e che dunque hanno bisogno di essere snelliti e resi più grezzi per poter funzionare sul palco.
Lo avevo visto in azione diverse volte, ma l’incognita principale era rappresentata dai nuovi pezzi: Privilegio Raro è un lavoro molto diverso dal precedente Merce Funebre, meno diretto, ricco di episodi a bassa intensità e maggiormente riflessivi, più sottile e complesso anche a livello testuale. Un salto notevole dal punto di vista della scrittura, ma che funzionasse dal vivo allo stesso modo del folgorante esordio non era scontato. Ne avevamo avuto un’anteprima al Mi Ami dello scorso maggio, col disco uscito da pochi giorni, e l’impressione era stata positiva, anche se non tutto pareva totalmente a fuoco; la prova del club, nelle vesti di headliner, era senza dubbio obbligata.
È stato un bel concerto, senza dubbio. Penalizzato forse in maniera eccessiva da una resa sonora insufficiente, che ha reso più volte il tutto eccessivamente impastato e confuso (ma sappiamo che i Magazzini non sono esattamente l’ideale da questo punto di vista), i quattro musicisti sul palco hanno comunque svolto una prova egregia. Giorgio di suo è a suo agio sul palco, non parla praticamente mai e preferisce che siano le canzoni coi loro testi surreali ed enigmatici a farlo per lui.
La spinta di un ottimo batterista come Aprili e le tastiere particolarmente dirette e ruffiane valorizzano soprattutto i brani più ritmati, per cui è abbastanza scontato che siano vecchi cavalli di battaglia come “Qualcuno che si esplode” e “Marcel”, o cose nuove come “Mister Arduino” (con la band che espande la citazione di “Impressioni di settembre” mediante una divagazione strumentale dedicata) e “Il grande Modugno” (quest’ultima con una parte di chitarra che l’ha resa particolarmente old school) a suscitare le reazioni più esagitate.
Bisogna però dire che l’alternanza tra brani vecchi e nuovi (decisamente più numerosi i secondi, visto che Privilegio Raro è stato suonato praticamente tutto) ha funzionato benissimo, coi presenti che hanno cantato ogni brano parola per parola, dimostrando grande coinvolgimento anche su episodi meno scontati come la title track (che ha aperto il concerto), “Non porto più la pena”, “Addio”, “Heautontimorumenos” e la straordinariamente evocativa “Infinite volte”; per non parlare poi del divertente stornello di “A Roma va così” o il tributo alla canzone popolare di “Vitaccia”, col suo ritratto simil neorealista dell’Italia del secondo dopoguerra.
Emozionante anche la resa di “Antidoto alla morte”, che dal vivo perde un po’ del suo spleen decadente per concentrarsi sulla reiterazione del ritornello a favorire il singalong (purtroppo niente Francesco Bianconi, ad un certo punto ci avevo creduto fortemente), mentre estratti dal primo disco come “Metabolismo” e “Diabolik”, coi loro Synth maestosi e le melodie epiche, sono come al solito da annoverare tra i momenti più belli della serata.
In chiusura, come al solito, una selezione di pezzi trasmessi da “Radio Guarascio”, la fantomatica radio libera a cui Giorgio ha affidato nel corso degli anni le sue composizioni più improbabili, oltre che diversi abbozzi che sono poi finiti sui dischi.
Superata la prova del primo tour di headliner, attendiamo fiduciosi le prossime mosse. Nella speranza, remota ma non si sa mai, che tutto questo movimento porti Niccolò Contessa di nuovo sulle scene. Va benissimo Tutti Fenomeni, ma se tornassero anche I Cani nessuno si lamenterebbe…