Se i Deep Purple riescono ancora a essere credibili dopo tanto tempo, è semplicemente perché continuano a pubblicare materiale originale e, soprattutto, di buona qualità. Dinosauri, forse, ma non balene spiaggiate: piacciano o meno, i loro ultimi dischi, strenuamente avvinghiati a sonorità classic rock, sono lavori, forse datati, ma senz’altro artisticamente convincenti.
E’ strano allora ritrovarli nuovamente sul mercato con questo Turning To Crime, album composto interamente da reinterpretazioni di brani altrui. Strano, perché questo nuovo lavoro rappresenta una sorta di viaggio a ritroso agli albori della band. È difficile da credere, infatti, e molti probabilmente se ne sono dimenticati, ma i Deep Purple, agli esordi della loro carriera, potevano quasi essere definiti una cover band. Chi ha buona memoria, si ricorda che, in effetti, i primi quattro singoli del gruppo provenivano da discografie altrui (Joe South, Neil Diamond, Ike & Tina Turner e Beatles) e non dal talento dei componenti di un gruppo che, di lì a breve, avrebbe cambiato per sempre la storia dell’hard rock, quando, nel 1969, entrarono nella line up Ian Gillan e Roger Glover, per dare vita a quella formazione che va sotto il nome di Mark II.
Da In Rock in poi, basta cover, ma solo materiale originale, cosa che, a distanza di più di cinquant’anni, rende questo Turning To Crime un autentico shock. Non solo perchè in scaletta ci sono ben dodici cover, ma soprattutto perché sono davvero poche le canzoni reinterpretate che ti aspetteresti avrebbero potuto essere suonate dai Deep Purple.
A distanza di diciotto mesi dall’ottimo Whoosh, arriva, dunque, una svolta sorprendente, una sorta di alternativa anti-pandemia (guidata dal guru Bob Ezrim), che si sostituisce al consueto processo creativo della band (le sbrigliate jam in studio), reso impossibile dal lockdown.
Nessuno aveva dubbi sul fatto che i cinque valenti musicisti, rappresentati in copertina come avanzi di galera, fossero in grado di cimentarsi con qualsiasi genere, anche agli antipodi di quello che, da sempre, è il loro territorio di caccia, ma di sicuro la scelta dei brani in scaletta fa quantomeno sollevare il sopracciglio per la sorpresa.
È un eufemismo, infatti, affermare che brani come "Rockin' Pneumonia and the Boogie Woogie Flu" di Huey "Piano" Smith, "Dixie Chicken" dei Little Feat, "Let the Good Times Roll" di Louis Jordan, "Watching the River Flow" di Bob Dylan o "The Battle of New Orleans" di Jimmy Driftwood risultino delle scelte fuori da ogni logica.
Eppure, alla fine, hanno avuto ragione loro, i vecchi Purple, perché, pur lontanissime dal bagaglio genetico della band, queste cover suonano tutte incredibilmente convincenti. D’altra parte, il mestiere e le competenze tecniche delle cinque vecchie volpi non sono mai stati in discussione: Steve Morse fa sfoggio di diverse tecniche di esecuzione con altrettante abilità, Don Airey fila via sul velluto, non disdegnando virtuosismi, Ian Paice e Roger Glover sono i soliti martelli, ma inaspettatamente brillanti anche nei diversi approcci ritmici, e il buon Ian Gillan, forse un po' aiutato dalla tecnologia, riesce a dare il meglio di sé qualunque cosa canti.
Certo, anche in Turning To Crime non mancano momenti più contigui all’hard rock, come nelle fiammeggianti trame psichedeliche dell’iniziale "7 and 7 Is" dei Love, nella leggendaria "Shapes of Things" degli Yardbirds, nel divertissement garagista di "Jenny Take a Ride!" presa dal songbook di di Mitch Ryder & the Detroit o in "White Room" dei Cream, il brano più ovvio in scaletta e quello decisamente più attinente al bagaglio musicale dei Deep Purple.
Chiude il disco "Caught in the Act", un medley quasi interamente strumentale, in cui la band sbriglia gli strumenti e la fantasia per riproporre grandi classici degli anni '60 ("Going Down" di Jeff Beck, "Green Onions" di Booker T. e MG, "Hot 'Lanta" della Allman Brothers Band, "Dazed and Confused" dei Led Zeppelin e "Gimme Some Lovin' " degli Spencer Davis Group) dimostrando che Mark VIII è una signora line up e che, grazie a un’inesausta voglia di divertimento, anche in tempi di vacche magre, si posso rilasciare ottimi e, come in questo caso, inaspettati dischi.