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Tu meriti il posto che occupi - La storia dei Disciplinatha
Giovanni Rossi
2018  (Tsunami Edizioni)
CARTA CANTA
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20/01/2020
Giovanni Rossi
Tu meriti il posto che occupi - La storia dei Disciplinatha
Spesso ci si dimentica che [...] i Disciplinatha facevano grandissima musica: originale, innovativa, viva e inaudita...

"Puntarono il dito senza nascondere la mano. Sollevarono domande che nessuno volle ascoltare. Non chiesero mai permesso e non furono mai perdonati."

(Giovanni Rossi)

 

Uscito in novembre per i tipi di Tsunami Edizioni in edizione limitatissima (399 copie numerate a mano), il monumentale Tu meriti il posto che occupi – La storia dei Disciplinatha di Giovanni Rossi giunge a dissotterrare dai deserti della damnatio memoriae uno dei tanti tasselli dimenticati – colpevolmente dimenticati – dello schizofrenico mosaico che compone la cosiddetta cultura “alternativa” italiana. Più che la prima, unica e forse anche ultima (in ogni caso definitiva) biografia del gruppo più controverso e pericolosamente profetico (nel senso letterale del termine: riascoltatevi i loro lavori, una quasi perfetta sintesi del mondo attuale) che l’Italia – ma mi verrebbe da dire l’Europa – abbia mai prodotto, queste seicento pagine sono un vero e proprio capitolo della Storia del nostro Paese.

L’autore, ben noto a chi si occupa di letteratura musicale grazie a una serie di preziosissimi volumi – ne cito solo alcuni: Industrial [r]Evolution – Storia ed evoluzione della musica industriale; Led Zeppelin ’71 – La notte del Vigorelli; Nine Inch Nails – Niente mi può fermare; Roger Waters – Oltre il muro –, ha operato un lavoro di ricerca e ricostruzione a dir poco straordinario, coinvolgendo direttamente i protagonisti e lasciando che fossero essi stessi a dar vita alla narrazione, interponendosi quindi con discrezione per organizzare, rifinire e contestualizzare il discorso narrativo e concettuale.

Ne emerge un affresco che scandaglia minuziosamente fatti e situazioni, e ricostruisce una storia il cui filo conduttore - talvolta sottotraccia, talaltra ben evidente - si potrebbe riassumere, per chi sa leggere, come un inno alla libertà, all’indipendenza, al pensiero autonomo individuale, antiideologico, non conformista e non militante. La bellezza del Disciplinatha-pensiero, in fondo, si risolve nell’abbacinante splendore di tutte le sue anarchiche, anche violente contraddizioni (un pensiero che nel suo dispiegarsi manchi di cogliere le contraddizioni che sono sostanza di tutte le cose, può davvero dirsi profondo?...), e chi tentò goffamente di derubricarli come una banale provocazione mentiva sapendo di mentire, o semplicemente non ci aveva capito un beneamato (i più).  I Disciplinatha furono molto più di un gruppo musicale: essi furono l’immagine riflessa di un’Italia che continuava a piegare la schiena sotto le frustate dei “buoni”, trascinando una pesantissima croce costruita da quegli stessi “buoni”; furono l’epifania di quel tragico futuro che in pochissimi seppero (o vollero) cogliere. Furono l’incubo di tutti coloro che si credevano alternativi.

Rossi ne coglie le caleidoscopiche sfaccettature, i riferimenti culturali multiformi e stratificati, le sfumature sfuggenti e indefinite, analizzando le turbolenti fasi della loro fulminante carriera lungo un percorso discografico tortuoso, problematico e osteggiatissimo.

Spesso ci si dimentica che, al di là delle controversie, al di là delle ottuse prese di posizione da curva sud, ben oltre i bignami di storia sventolati dai loro ottusi detrattori, i Disciplinatha facevano grandissima musica: originale, innovativa, viva e inaudita, e proprio per questo incomprensibile ai finti (e falsi) alternativi che scondizolavano dietro l’innocuo indie-rock italiano dell’epoca. Il primo EP, Abbiamo pazientato 40 anni: ora basta!, uscito nel 1988 per la Attack Punk Records di Jumpy Velena (oggi Helena Velena), rimane ancora un’opera assolutamente unica nel panorama musicale internazionale, per originalità, ferocia e intensità.

Forse uno dei meriti più grandi di questo libro è proprio ricordarci quanto fossero musicalmente incredibili, i Disciplinatha, e proiettati verso quel domani che seppero leggere con impenetrabile lungimiranza, smascherando ipocrisie e doppiogiochismi di una società condannata all’emiplegia artistica e musicale, all'intellettualismo provinciale da periferia (ovvero - e torniamo al loro lato profetico - ciò che oggi si è compiutamente avverato). Il che, assieme a complesse dinamiche relazionali e tensioni interne, li condusse a un’implosione a lungo rimandata ma alla fine inevitabile, sublimata dalla cupa, disincantata poetica del loro ultimo manufatto fonografico, Primigenia, del 1996.

E allora tanto di cappello a Giovanni Rossi, che è andato a infilare le mani in una melma vischiosa, ancora sobbollente di pericoli, e ne ha estratto, con rigore ed eleganza, un tassello d’inestimabile valore da aggiungere ai tesori della patria.

Non è un libro per jovanòtteri.

 


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