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RE-LOUDDSTORIE DI ROCK
27/07/2020
Black Cat Bone
Truth
Riff trucidi, assoli letali come un lanciafiamme in un campo di grano, e una sezione ritmica vibrante, inesausta e martellante, con il basso talvolta slappato, rendevano le dodici canzoni in scaletta un assalto sonoro selvaggio e senza compromessi

Anno magico, il 1992, con tante uscite discografiche importanti ed emblematiche del suono allora in voga e di quello che, da lì a poco, prenderà consolidata forma. E’, infatti, l’anno della techno ambient ipnotica di Selected Ambient Works 85-92 degli Aphex Twin, dell’alternative lo-fi sporco e grezzo dei Pavement di Slanted And Enchanted, del militante metal rap dei Rage Against The Machine e del loro infuocato esordio, del capolavoro grunge a tinte metalliche del leggendario Dirt degli Alice In Chains.

Decisamente contro tendenza rispetto alle mode del momento è, invece, l’esordio dei Black Cat Bone, power trio americano, proveniente dal Kentucky. Composta dal chitarrista e cantante David Angstrom, dal bassista Mark Hendricks e dal batterista Jon McGee, la band, che visse una stagione brevissima, fu oggetto di culto di una ristrettissima cerchia di fan, nonostante quel nome, Black Cat Bone, evocasse immediatamente i ben più famosi Black Cat Bones di Paul Kossoff, band londinese di blues rock operativa a Londra alla fine degli anni sessanta e dalla cui costola, poi, nasceranno i Free.

Truth fu un esordio, come si diceva, controcorrente rispetto all’allora panorama musicale, dal momento che i tre ragazzi del Kentucky andavano a rendere omaggio all’hard rock blues degli anni d’oro, citando a manetta veri e propri miti come Jimi Hendrix, Led Zeppelin, Thin Lizzy, Free e ZZ Top. Da questi ultimi, i Black Cat Bone, ereditarono come surplus torridi accenti sudisti, ma la proposta rispetto alle fonti d’ispirazione era decisamente più dura, rumorosa, sferragliante, accelerata da un’urgenza quasi punk.

Riff trucidi, assoli letali come un lanciafiamme in un campo di grano, e una sezione ritmica vibrante, inesausta e martellante, con il basso talvolta slappato, rendevano le dodici canzoni in scaletta un assalto sonoro selvaggio e senza compromessi. Un suono classico, certo, ma non frusto o anacronistico, dal momento che sotto l’armatura metal della band batteva un cuore in extrasistole funky, vero segno distintivo della proposta dei Black Cat Bone (emergono qui e là collegamenti con i coevi Living Colour).

Un disco lungo (un’ora secca di durata), sferragliante e votato al corpo a corpo, in cui i pochi attimi di sospensione vengono utilizzati come blocchi di partenza per impetuose e devastanti accelerazioni. Il riff zeppeliniano dell’iniziale The Epic Continues (con quel ritornello che è più Zep degli stessi Zep), la derapata funky di Dynamic (che incorpora citazioni sabbathiane), la ritmica furente e in levare di Be Like Me, i deragliamenti jammistici di Dream e della title track, l’hard blues micidiale di Too Cool/Shoe Shine sono sventagliate ad alzo zero che feriscono a morte e non lasciano scampo.

Un esordio fulminante e gagliardo, che apriva le porte a un futuro luminoso per un gruppo che andava, si, controcorrente, ma che sarebbe potuto arrivare ovunque, grazie alla potenza di tiro e a qualità tecniche di alto prospetto. Peccato che la storia della band finisca qui: David Angstrom, anima dei Black Cat Bone, molla il colpo e più tardi andrà a fondare un altro killer trio, i Supafuzz. Ma questa, come si suol dire, è tutta un’altra storia.


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